Secondo l’esperta di Cina, la guerra in Ucraina ha portato Pechino a riconsiderare strategie e preparazione militare, rafforzando la prudenza verso Taiwan e osservando le fragilità dell’Occidente
L’invasione russa dell’Ucraina iniziata nel febbraio 2022 ha avuto tante conseguenze, più o meno dirette, sul sistema internazionale nel suo complesso. Tra le dimensioni che hanno registrato una trasformazione rientra anche quella relativa alle logiche strategiche nel Mar Cinese Meridionale.
“Alcune cose sono cambiate in meglio, altre in peggio”, commenta per Formiche.net Francesca Giovannini, Executive Director del Project on Managing the Atom presso il Belfer Center for Science & International Affairs della Harvard Kennedy School e Adjunct Associate Professor presso la Fletcher School of Law and Diplomacy della Tufts University. “La prima osservazione da fare è che la Cina ha tratto diverse lezioni dalla guerra in Ucraina. In primis la realizzazione che quando un apparato militare non dispone di una preparazione ‘attiva’ al combattimento, anche una grande potenza in realtà potrebbe andare incontro al fallimento in un’eventuale operazione militare. E i cinesi sono arrivati a concludere che quest’eventuale operazione, a Taiwan ma non solo, sarebbe un’operazione estremamente complicata. Non è solo una questione di hardware e asset, ma anche di combat readiness”.
Per questo motivo, nonostante la retorica utilizzata, Pechino ha adottato una politica molto più cauta e atta alla preparazione. “Facciamo caso a come la People’s Liberation Army ha cominciato a condurre tutta una serie di esercizi militari molto diversi da prima, ad esempio ponendo molta più enfasi sull’integrazione tra la componente aerea e quella navale”. Inoltre, lo shock dato dal vedere come Mosca non è stata in grado di portare a termine con successo e in modo rapido l’operazione pianificata ha spinto i vertici cinesi a riconsiderare, almeno in parte, i piani di un possibile attacco a Taiwan.
“Dall’altra parte, come conseguenza della guerra in Ucraina i cinesi hanno rafforzato tutta una serie di visioni sull’Occidente. Come ad esempio il fatto che con l’Occidente bisogna aspettare pazientemente, perché col passare del tempo l’iniziale volontà di ferro degli Stati Uniti e degli europei si affievolisce. Rendendo più consono il ricorso ad una ‘salami tactics’ atta a ledere l’autorità e l’influenza degli Stati Uniti nel settore. I cinesi hanno anche preso nota di quanto siano limitati gli asset americani, e che gli Stati Uniti in questo momento non hanno le risorse per competere in molteplici teatri, come dimostrato dalla temporanea assenza di portaerei della US Navy nell’Indo-Pacifico in seguito all’emergere della crisi in Medio Oriente accanto a quella in Ucraina”.
Secondo Giovannini, vanno presi in considerazione anche fattori domestici. I tentativi di slegare quello che è stata il pacchetto di aiuti per l’Ucraina con quello per Israele e per Taiwan hanno portato all’emergere di qualche dubbio nella comunità strategica cinese sulla diversa volontà americana di difendere i propri partner.
Il conflitto in Ucraina non ha però impattato soltanto sui rapporti con l’Occidente. “I cinesi non solo sono rimasti sorpresi dalle pessime performance dell’esercito russo, che si immaginavano ancora essere potente come ai tempi sovietici, ma anche dai cortocircuiti nella comunicazione tra Xi Jinping e Vladimir Putin, dove ci sono stati dei grandissimi ritardi che sono stati anche causa di imbarazzo. Esemplare il caso in cui Putin, in una visita a Pechino, promise a Xi che non ci sarebbe stata una diffusione geografica delle armi atomiche, che la Cina e la Russia sarebbero state fermamente unite nel contrastare questo processo. E poche ore dopo, Putin ha annunciato il trasferimento di ordigni nucleari alla Bielorussia”.
Altra sorpresa è stata quella della Corea del Nord. “Nessuno avrebbe anticipato che Pyongyang avrebbe inviato le truppe a combattere nel conflitto in Ucraina. E la cosa che preoccupa Pechino è che questo dispiegamento darà a Kim la sensazione che il suo esercito sia molto più pronto a condurre operazioni di combattimento nella penisola coreana. Rafforzando così l’intenzione di Seoul di dotarsi di capacità atomiche”.
“Non sono più convinta che gli Stati Uniti ritengano di poter incutere a Pechino un timore sufficientemente forte da prevenire determinate azioni da parte di Zhongnanhai”, conclude Giovannini. “Anzi, sono piuttosto convinta che i segnali di debolezza interna mostrati da Washington rafforzano la convinzione di Pechino che gli Stati Uniti siano una potenza in declino”. Con tutte le possibili conseguenze del caso.