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La tridimensionalità politica e giornalistica di Furio Colombo

Ha raccontato il mondo con la sensibilità della cultura e lo sguardo nel futuro. È stato un grande inviato, un ottimo scrittore e una colonna della Rai che ha attraversato un secolo di politica e di giornalismo lasciando una impronta di professionalità. Il ricordo di Gianfranco D’Anna

Intellettuale di frontiera, della nuova frontiera kennediana, ma vissuta sul variegato versante in bilico fra marxismo e democrazia, Furio Colombo è riuscito ad interpretare con onestà intellettuale ruoli contraddittori: dirigente della Olivetti e presidente della Fiat Usa nonché “ ambasciatore” di Gianni Agnelli presso l’establishment economico culturale degli Stati Uniti del dopo Vietnam; inviato della Stampa a Washington, autore di memorabili reportage sull’America del presidente John Fitzgerald Kennedy, sulla guerra in Vietnam e sulla presidenza di Richard Nixon finita con lo scandalo Watergate; e da ultimo parlamentare della sinistra, direttore dell’Unità e cofondatore del Fatto Quotidiano.

“Un uomo dal multiforme ingegno. È stato scrittore, giornalista, uomo manager, intellettuale, parlamentare”, conferma Antonio Padellaro, condirettore di Colombo all’Unità e poi compartecipe alla fondazione del Fatto Quotidiano.

Storico vincitore di concorso alla Rai, negli anni ’50, insieme a un gruppo di giovani intellettuali come Umberto Eco, Gianni Vattimo e Piero Angela, prima di essere cooptato dall’avvocato Agnelli, Furio Colombo era giunto al vertice dei programmi culturali di Viale Mazzini.

Indimenticabile nel suo infinito curriculum giornalistico, con collaborazioni a “La Repubblica”, “The New York Times”, “Panorama”, “L’Europeo”, “L’Espresso” ed una quarantina fra libri e saggi, l’ultima intervista rilasciatagli da Pier Paolo Pasolini, che fu pubblicata da “La Stampa”, allora diretta da Arrigo Levi, il giorno prima dell’omicidio dello scrittore e regista, avvenuto nella notte tra il 1° e il 2 novembre 1975.

L’intervista venne intitolata: “Siamo tutti in pericolo”. Pasolini manifesta a Furio Colombo una profonda preoccupazione per la deriva autoritaria e la perdita dei valori democratici in Italia, denunciando l’omologazione culturale e l’influenza negativa dei mass media sulla società.

All’impegno politico come parlamentare di Furio Colombo si deve l’istituzione della legge sulla giornata della memoria.

Non uno storico dell’istante, come Albert Camus definiva il giornalista, ma un punto di riferimento determinato dalla sua curiosità intellettuale, la lucidità di analisi, la competenza con cui affrontava ogni tema e che lo pongono di diritto nel Pantheon dei grandi giornalisti – scrittori italiani in cui, fra gli altri, figurano Piero Citati, Leo Longanesi, Enzo Biagi, Piero Angela, Sergio Zavoli, Eugenio Scalfari, Giorgio Bocca, Indro Montanelli, Oriana Fallaci, Gianpaolo Pansa, Gianni Brera, Luigi Barzini, Mario Soldati e Leo Longanesi.

Anche se all’opposto di quanto sosteneva quest’ultimo (“il bravo giornalista è quello che racconta bene le cose che non sa”), Furio Colombo sapeva spiegare al meglio gli argomenti che studiava e approfondiva e gli avvenimenti che conosceva direttamente. Davvero un giornalista di razza.


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