“L’Italia sta correndo per provare a mettersi in una posizione forte”, spiega a Formiche.net Carlo Pelanda. “Un tentativo molto apprezzabile che penso faccia parte di una strategia sistemica”. Il che significa che probabilmente ci saranno altri passi in questo senso, come ad esempio verso l’Africa
L’accordo sull’interconnessione elettrica raggiunto da Giorgia Meloni con Emirati Arabi Uniti e Albania ha due vantaggi, spiega a Formiche.net Carlo Pelanda, uno dei più autorevoli analisti italiani, oltre che docente e saggista, autore de “L’Italia globale” per Rubbettino: in primis la connessione geopolitica tra penisola arabica e Mediterraneo racconta dello sforzo italiano di farsi globale, in questo caso con la linea di infrastrutture che connette l’Indo pacifico via penisola arabica con il Mediterraneo. In secondo luogo è la plastica dimostrazione di come la nostra politica estera sia caratterizzata dallo sforzo del governo di Roma di mostrare una certa audacia nel tentare di prendere una posizione forte su tutti i flussi importanti del pianeta. “L’Italia sta correndo per provare a mettersi in una posizione forte: tale tentativo secondo me è molto apprezzabile e penso faccia parte di una strategia sistemica per cui ci saranno altri passi in questo senso, come ad esempio verso l’Africa”.
Giorgia Meloni con lo Sceicco Mohammed bin Zayed e il primo ministro Edi Rama ha firmato un impegno per realizzare una nuova interconnessione energetica per produrre energia verde in Albania ed esportarne una parte in Italia, grazie a un cavo sottomarino attraverso il Mar Adriatico. Quali gli effetti di questo accordo, energetici e geopolitici?
Sono ambedue molto positivi, nel senso che connettono costa sud e costa nord del Mediterraneo, che rappresentano un interesse primario dell’Italia sia nella relazione con l’Albania (che è il punto di sbarco e la proiezione italiana), sia nel dimostrare agli altri Paesi dei Balcani Occidentali che la relazione con l’Italia offre vantaggi. Ecco quindi che per l’Italia i Balcani occidentali e la costa sud del Mediterraneo in direzione penisola arabica sono due priorità assolute, che fanno parte poi di altre priorità sulla parte orientale della penisola arabica, cioè il Mar Rosso.
In che modo?
La situazione sull’imbocco del mar Rosso comporta un danno per l’Italia sia nel porto di Trieste che in quello di Genova. Anche se al momento non vi sono dati precisi circa un dimezzamento dei traffici, questo è un qualcosa che deve essere valutato con attenzione anche perché dipende da altri fattori come la posizione che avranno gli Usa nei confronti dell’Iran: sono livelli di intensità che verranno usati per comprimere l’Iran e lì sarà necessaria anche un’interlocuzione diretta coi sauditi che con i curdi yemeniti hanno raggiunto una tregua. Per cui è molto importante la connessione Emirati, penisola arabica e Albania. L’accordo nella sostanza è un precursore della linea di infrastrutture che connette l’Indo pacifico via penisola arabica con il Mediterraneo.
Con un vantaggio anche in termini di posizione?
È vitale per l’Italia anche per dimostrare che, oltre alle infrastrutture per il commercio internazionale, sono attenzionate anche quelle energetiche perché esiste una competizione implicita (non ancora emersa ma che esiste, latente) tra Mediterraneo hub energetico e Mar Baltico. Ovvero sud e nord: l’Italia ovviamente deve competere per sostenere la tesi che la parte sud porta dei benefici. Certamente non saranno felicissime Francia e Germania, ma esso rappresenta un posizionamento preciso del nostro governo. Inoltre penso sia ottima poi l’interrelazione dell’accordo con l’Albania.
La presidente del Consiglio ha detto che questa iniziativa dimostra che si possono costruire nuove forme di cooperazione anche tra partner distanti geograficamente, ma che hanno una visione comune dello scacchiere generale: ritiene che questo sia un altro passo di avvicinamento nei confronti del concetto di Italia globale?
Assolutamente sì, con una puntualizzazione: il maggior vantaggio di far parte di una rete globale è quello di essere un hub o, perlomeno, uno snodo importante. In fondo tutte le nazioni cercheranno di competere per avere questo ruolo. Quindi l’Italia sta correndo per provare a mettersi in una posizione forte: tale tentativo secondo me è molto apprezzabile e penso faccia parte di una strategia sistemica per cui ci saranno altri passi in questo senso, come ad esempio verso l’Africa. Penso che sul piano della politica estera l’Italia si stia comportando veramente molto bene: i fatti mostrano che che l’Italia va in questa direzione ed è una direzione competitiva, anche se prima o poi mi aspetto una qualche frizione concorrenziale con Francia e Germania.
In che misura?
Beh sul piano europeo più si anticipa una tendenza, più si corre e più si riduce la frizione. Ad esempio, un anno fa la Germania aveva siglato un accordo preliminare con la Norvegia per una pipeline di idrogeno, fatto che in qualche modo è correlato con la richiesta dell’industria automobilistica tedesca di poter usare come combustibile un derivato dall’idrogeno mescolato con carbonio. Non si sa se lo farà, ma è chiaro che anche la Germania ha un problema nel momento in cui non può più rifornirsi dalla Russia. Inoltre gli Stati Uniti spingeranno per il gas liquefatto e la Spagna continuerà ad andare a gnl perché ha sei impianti di rigassificazione. Secondo me l’Italia ha tutte le carte in regola per essere un hub per questo tipo di nuovi combustibili.
L’intensa relazione con la penisola arabica è un altro elemento che spicca da questo accordo: con quale punto di caduta per Roma?
Ho la sensazione che nel rapporto con gli Emirati Arabi ci sia una sorta di agenda riservata, che non è ancora specificata ma solo tratteggiata, anche di collaborazione sul nucleare di nuova generazione. Un passaggio che percepisco dialogando con varie componenti arabe che stanno studiando molto la transizione da un’economia basata sul petrolio ad una diversa. Secondo me l’Italia avrà la priorità anche di passare al nucleare di nuova generazione e poi a quello a fusione, in prospettiva: al momento sta cercando di impastare una collaborazione strutturale con il “Mediterraneo profondo”. Ciò è estremamente utile per facilitare la diplomazia cooperativa, cioè mostrare ai paesi target del sud globale, oltre che dei Balcani occidentali, che vantare una relazione con l’Italia rappresenta un reciproco vantaggio.
Anche con riferimento al Piano Mattei?
Il discorso non è più di tipo coloniale, ma investe un elemento molto importante di tipo comunicativo e politico per costruire il consenso per una presenza italiana nei Paesi africani attenzionati dal Piano Mattei. Ad oggi sono poco più di una decina, ma la premier ne ha annunciati altri cinque: ciò rappresenta un traino anche per tutto il nostro export. Alla luce di tali elementi sono propenso a sostenere che questa politica estera dell’Italia è molto decisa, a maggior ragione in un momento di turbolenza globale che non permette di fare previsioni molto forti. Vedo il tentativo di piantare una bandierina italiana in vari siti.
Questo protagonismo dell’Italia quali alleanze potrà trovare?
Al momento la risposta è l’America e se questo fosse confermato allora bisognerebbe avviare una grande iniziativa dentro l’Europa per non averla contro. Pur essendo in uno scenario complicato, va riconosciuta al governo di Roma una certa audacia nel tentare di prendere una posizione forte su tutti i flussi importanti del pianeta. Mi riferisco, ad esempio, all’accordo col Giappone per i caccia di sesta generazione, ai flussi di materie prime, alle relazioni con l’Africa: la politica estera italiana in questo momento è perfetta per quella che è la scala della nazione. È chiaro che successivamente bisognerà valutare come reagiranno Parigi e Berlino quando avranno superato le problematiche interne. Non dimentichiamo che il fronte più delicato per l’Italia resta quello europeo, non l’America o la Cina ma sempre l’Unione europea dove Germania e Francia, pur in una relazione più diluita tra loro, non gradiscono un’Italia troppo forte.
La missione italiana ad Abu Dhabi è stata strutturata, come dimostra tra le altre cose la presenza dei vertici di Enel, protagonisti di un accordo: ciò rappresenta, una volta di più, un altro passo concreto verso un’interconnessione veramente globale, dall’Asia al Golfo, dal Nord Africa all’Europa?
C’è un cambiamento a livello di immagine oltre che di sostanza di contratti firmati. Al contempo ci troviamo nel mezzo di una trasformazione nel mondo e di una rivoluzione tecnologica in atto. Quindi l’Italia ha bisogno di investimenti che devono confrontarsi con un problema di debito pubblico che brucia almeno 80-90 miliardi all’anno e riduce gli investimenti produttivi e solo una piccola parte del risparmio italiano va in investimenti sulle aziende italiane: ciò dovrà essere corretto presto, ma non è facile.
E quindi l’Italia cosa dovrebbe fare?
Cercare soldi all’estero in varie forme. Un settore che sta andando molto velocemente è proprio l’aumento degli investimenti stranieri in Italia, perché l’Italia viene percepita positivamente sia per la sua stabilità, che per il suo basso rischio geopolitico. Stanno giungendo molti fondi che sono per lo più americani e inglesi: dal momento che l’Italia non ha uno spazio fiscale per fare più debito, deve reperire i soldi in modi più virtuosi e quindi deve essere attrattiva verso il capitale estero. E secondo me qui c’è anche una grande attenzione al capitale degli Emirati.