Il viaggio della presidente del Consiglio rappresenta un’importante occasione politica per il Paese, che ha attualmente un governo ideologicamente vicino alla nuova amministrazione statunitense. Fondamentale rafforzare i rapporti bilaterali e tutelare gli interessi economici italiani. Ma attenzione: la coesione europea rimane fondamentale, soprattutto in un contesto internazionale sempre più conflittuale. Il commento di Giovanni Castellaneta, già ambasciatore italiano a Washington
Ci siamo quasi: domani Donald Trump diventerà ufficialmente il quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti, facendo ritorno alla Casa Bianca dopo quattro anni. Sarà una inauguration al gelo a causa della tempesta artica che sta sferzando la costa atlantica degli Stati Uniti, e quindi un po’ diversa da quelle a cui eravamo abituati. Il giuramento avverrà infatti all’interno di Capitol Hill, il che sembra quasi uno scherzo del destino dato che proprio la sede del Congresso fu presa d’assalto dai sostenitori estremisti di Trump il 6 gennaio del 2021 quando tentarono di sovvertire l’esito delle presidenziali che avevano decretato la vittoria di Joe Biden. Nessun bagno di folla, dunque, per il grande ritorno di The Donald, forse anche per ragioni di sicurezza. Trump avrà, però, modo di incontrare i suoi elettori in un evento privato che si terrà nell’arena cittadina dedicata ai grandi eventi oltre che ai diversi incontri di gala che si svolgeranno in alcuni grandi alberghi di Washington. E che, tra una cerimonia e l’altra, ha anche promesso di firmare una raffica di executive order (circa un centinaio) che potrebbero creare scompiglio sin dal day one.
Anche Giorgia Meloni assisterà alle cerimonie per l’insediamento di Trump: dopo diversi giorni di riflessione, la presidente del Consiglio italiana ha, con coraggio, sciolto la riserva e volerà nella capitale statunitense accettando l’invito del leader repubblicano. Si tratta del secondo viaggio negli Stati Uniti nel giro di poche settimane, a breve distanza dalla visita-lampo presso il quartier generale privato di Trump a Mar-a-lago focalizzata sulla previa informativa per il rilascio di Cecilia Sala oltre che su alcuni dossier di politica internazionale e industriale. Meloni sarà l’unica leader di un grande Paese fondatore dell’Unione europea a partecipare alla cerimonia, che molti hanno preferito disertare a causa della presenza annunciata di molti esponenti dei partiti dell’estrema destra europea (dal britannico Nigel Farage al francese Eric Zemmour, passando per il polacco Mateusz Morawiecki e lo spagnolo Santiago Abascal).
Come valutare, dunque, la scelta di Meloni di volare a Washington rappresentando del resto anche tutte le componenti del suo governo, nonostante il clima non del tutto disteso al livello delle relazioni transatlantiche?
A livello politico, si tratta indubbiamente di un’occasione importante e che la presidente del Consiglio fa bene a sfruttare. Tra i grandi Stati dell’Unione europea, l’Italia è quella che attualmente – piaccia o no – ha il governo più affine a livello ideologico a quello che sta per entrare in carica negli Stati Uniti. Questa relativa vicinanza può costituire un punto di forza per avvantaggiarsi rispetto agli altri partner europei e cercare un rafforzamento dei rapporti bilaterali. È la difesa dell’interesse nazionale, dunque, il driver principale nell’aver orientato la scelta di Meloni. In un momento in cui la nuova amministrazione statunitense promette di alzare ulteriormente le barriere commerciali nei confronti dell’Unione europea, è coerente dal punto di vista italiano cercare un canale preferenziale – puntando anche sulla positiva relazione personale di Meloni con Trump e con Elon Musk – per raggiungere obiettivi importanti a livello economico che tutelino le esportazioni italiane negli Stati Uniti e facilitino gli investimenti americani nel nostro Paese in settori strategici come difesa e telecomunicazioni. Sarà poi utile questa prima immediata occasione di contatto ufficiale con la nuova amministrazione per avviare l’attività dei prossimi quattro anni e per constatare in loco l’umore generale nei confronti della ondata dei provvedimenti esecutivi che Trump ha promesso di firmare subito dopo la sua proclamazione.
Va poi considerato il livello europeo. Si è detto che Meloni, proprio in virtù di questa prossimità politica tra i due esecutivi, potrebbe giocare il ruolo di ponte tra la Casa Bianca e gli altri Stati dell’Unione europea che non necessariamente condividono l’orientamento trumpiano. In realtà, è difficile pensare che governi come quello francese e tedesco (seppure il cancelliere tedesco Olaf Scholz sia in uscita in vista delle elezioni di febbraio), così come quello spagnolo e polacco, accettino che la presidente del Consiglio faccia da mediatore per loro conto e che attraversino questo ponte insieme. È più realistico pensare che Meloni nei consessi europei possa cercare di chiarire ed eventualmente ammorbidire le reazioni dei partner europei alle decisioni che verranno prese da Trump, nel tentativo di ridurre le distanze che da qui a breve inevitabilmente si creeranno. Giusto, dunque, che Meloni cerchi di emergere agli occhi di Trump tra i propri omologhi europei, come interprete delle intenzioni della nuova amministrazione americana e come difensore dei nostri interessi nazionale.
Tutto questo, con l’obiettivo di non dimenticare l’importanza della coesione europea che ci rende tutti più forti in settori particolarmente sensibili quali la difesa, lo spazio, le telecomunicazioni, la politica commerciale e finanziaria. Essa richiede al di là delle divisioni politiche, sforzi sempre maggiori in un momento in cui le relazioni internazionali stanno diventando sempre più conflittuali e frammentate e l’Unione europea rischia di diventare un vaso di argilla schiacciato tra gli unici vasi di ferro rimasti sul pianeta, gli Stati Uniti di Trump (che non farà sconti a nessuno, o quasi) e la Cina.