Da quanto Elly è stata eletta segretaria, il partito non ha toccato una palla politica che fosse una. A ricordarlo sono stati nel fine settimana sia Romano Prodi che Paolo Gentiloni. E non è una buona notizia. Il commento di Andrea Cangini
Solo una cosa è risultata chiara dal combinato disposto delle due assise centriste più o meno cattoliche che si sono svolte lo scorso sabato ad Orvieto e a Milano: il Pd di Elly Schlein non ce la fa. Ha recuperato qualche elettore di sinistra deluso, ma non ha alcun appeal sull’elettorato moderato un tempo detto “riformista” e da tempo incline all’astensione. Ma soprattutto non ce la fa Elly Schlein. È poco credibile come leader di parte, non lo è affatto come federatrice del cosiddetto Campo largo e, di conseguenza, come candidata naturale del (centro?)sinistra alle prossime elezioni politiche. Romano Prodi, che i tempi delle primarie con cui il Partito democratico si consegnò a una leadership ad esso tanto estranea quanto esterna fu considerato il regista occulto di quell’exploit, ha detto che “da due anni il Pd è muto”. Affermazione che, tradotta, suona così: da quanto Elly è stata eletta segretaria, il partito non ha toccato una palla politica che fosse una. Paolo Gentiloni, non è stato da meno, e all’implicita accusa di velleitarismo ha aggiunto quella di subalternità culturale nei confronti di una destra cui si è irresponsabilmente lasciato il monopolio di questioni care anche agli elettori di sinistra come la sicurezza.
Sia i convenuti di Orvieto, sia quelli di Milano sostengono di non voler fondare un nuovo partito, l’ennesimo, d’area centrista. Se fosse vero, vorrebbe dire che il loro è solo un modo per rafforzare le rispettive correnti all’interno del Pd. Iniziativa che può, forse, servire alla carriera politica di qualche singolo ma che di certo non servirà a costituire un’alternativa credibile di governo.
Aleggia all’orizzonte la figura di Paolo Gentiloni nel ruolo di federatore. Secondo molti, potrebbe essere lui a fare quel che ad Elly non riesce: tenere insieme le varie anime dell’ipotetica coalizione, rendendo più potabile Movimento 5 Stelle l’alleanza con il Pd. Chiaro che in quest’ipotesi il candidato alla guida del governo sarebbe lui, non Elly Schlein.
Un groviglio difficile da districare. Come sempre più difficile sembra destinato a diventare il rapporto della premier Giorgia Meloni con il partito di Matteo Salvini. Concludendo la propria analisi sui tormenti dei cattolici di sinistra, Federico Geremicca sulla Stampa oggi allude alla possibilità che, per superare debolezze, insofferenze ed incompatibilità, il sistema politico italiano possa infine convergere sul ritorno ad una legge elettorale essenzialmente proporzionale. Non è un’ipotesi campata in aria.