Gli assetti in Germania e Francia potrebbero segnare una netta discontinuità col passato e una nuova simmetria con Roma. Merz su Meloni: “Non capisco le riserve nei suoi confronti. Perché non parliamo con lei più spesso di quanto fatto in passato? Non è solo interessante, è necessario”
Il primo passo è stato fatto in Francia, lo scorso anno, quando alle elezioni politiche la destra ha compiuto un balzo in avanti non da poco. Ora è la volta della Germania, che si prepara alle urne con la quasi certa vittoria della Cdu guidata da Friedrich Merz che, tra le priorità del suo possibile governo, ha messo in cima il rapporto con l’Italia di Giorgia Meloni, anche a causa di quella che potrebbe essere una traccia comune con Roma come la composizione dell’esecutivo. Come ci si prepara dunque alla nuova cartina politica europea in due Paesi-chiave come Francia e Germania? In che maniera potranno uscire dall’impasse in cui si trovano, sia per errori strutturali (come il bilancio francese), sia per incapacità di leggere i cambiamenti (come il dossier energetico teutonico)?
Qui Berlino
Non sfuggirà che la vacatio di densità politica tedesca è coincisa con le difficoltà che il governo di Olaf Scholz ha accusato sin dal suo insediamento. Prima ha oltremodo pagato il “noviziato” dei Verdi, entrati nell’esecutivo forti di un solido consenso elettorale, ma incapaci di tradurlo in sostanza decisionale. Poi la gestione della crisi energetica che non è stata foriera di risultati, semmai di sacche di insoddisfazione da parte del settore industriale, a causa della eccessiva dipendenza dal gas russo. Infine quello che viene considerato il fronte maggiormente a rischio, ovvero l’automotive, con i grandi marchi che hanno annunciato chiusure e licenziamenti. Non uno di questi tre dossier è stato affrontato nel modo giusto dalla coalizione semaforo, che negli ultimi mesi è stata inchiodata alle proprie responsabilità dai liberali in primis, ma anche dal ceto produttivo che ha individuato in Merz l’uomo giusto al momento giusto.
Se i sondaggi dovessero confermare le previsioni, la Cdu vincerebbe le elezioni, con però un punto di domanda sul tipo di alleanze da intraprendere, posto che l’ultradestra di AfD potrebbe arrivare seconda con il 20%. Ma al di là delle alchimie post elettorali, spicca il dato politico di una possibile (e molto probabile) discontinuità con socialisti e verdi. In questo senso emerge la capacità di Merz (che due giorni fa ha incontrato Antonio Tajani) di essere uomo pragmatico e sensibile alle istanze del mondo industriale (come dimostra il suo curriculum con tre totem come Blackrock, HSBC Trinkaus e lo studio legale Mayer Brown) che si traduce anche in una attenzione verso l’Italia, paese stabile e in questo momento punto di riferimento, tanto in Ue quanto oltreoceano.
Nuove relazioni europee?
Medesime preoccupazioni in Francia dove, dopo la debacle di Michel Barnier, il capo dello Stato ha giocato la carta centrista con François Bayrou, il cui primo provvedimento è recuperare denaro tramite nuove iniziative, come quella di tassare i pensionati facoltosi, annunciata dal ministro del Lavoro Astrid Panosyan-Bouvet, mentre i socialisti annunciano che potrebbero votare contro l’approvazione del bilancio (senza dimenticare il dossier immigrazione, su cui si guarda al modello italiano). Un caos in cui spicca la voglia di Rn e repubblicani di prepararsi alle possibili urne del 2025. Un altro possibile fronte di centrodestra che si sommerebbe a quello tedesco, in un anno che potrebbe rivoluzionare gli equilibri in Ue. Quindi gli assetti in Germania e Francia potrebbero segnare una netta discontinuità col passato ed una nuova simmetria con Roma.
Il gancio geopolitico tra equilibri interni e nuova veste continentale lo ha messo in evidenza Merz al Forum economico mondiale di Davos, facendo un ragionamento su Giorgia Meloni: “Non capisco le riserve nei suoi confronti. Penso che sia veramente pro-europea. È molto chiara la sua posizione nei confronti dell’Ucraina e della Russia, ed è molto chiara sull’ordine basato sulle regole dell’Ue. Perché non parliamo con lei più spesso di quanto fatto in passato? Non è solo interessante, è necessario”.
Il tema del dialogo internazionale è stato anche toccato dal premier italiano dopo la cerimonia di giuramento di Donald Trump, quando ha sottolineato che gli impegni in politica estera non sono “politica estera, ma politica interna, nel senso che ogni rapporto solido che si crea è una porta aperta per le nostre imprese, per i nostri prodotti, è un’occasione per i nostri lavoratori”. Passaggio ripreso dalla Reuters, quando osserva che “Donald Trump e Giorgia Meloni stanno rapidamente forgiando una nuova relazione speciale transatlantica”.