Tra tutti i virus che hanno colpito l’economia del Dragone, quello della bassa spesa è il peggiore. E persino le politiche messe a terra da Pechino sembrano vane. Ecco cosa scrive lo European institute for asian studies
Più che l’anno del Serpente di legno, che proprio oggi comincia con il capodanno lunare cinese, per il Dragone questo sarà l’anno della deflazione. Il grande male della Cina, uno dei tanti ma forse quello più insidioso, risponde al nome di scarsi consumi e prezzi bassi. Nella Repubblica popolare non si compra più come una volta perché i soldi sono di meno e ci si fida poco del futuro. Senza contare che si fanno meno figli. Inoltre, le politiche fin qui messe a terra da Pechino hanno funzionato davvero poco, come mette nero su bianco un report dello European institute for asian studies.
“La Cina sta vivendo una deflazione continua, con prezzi in calo per sei trimestri consecutivi. Tradizionalmente, Pechino ha risposto alla deflazione con un allentamento monetario aggressivo e uno stimolo fiscale. Tuttavia, dopo la pandemia, il governo ha adottato un approccio più cauto per prevenire un aumento del debito”, premette l’economista Junhua Zhang, autore del documento. “Questo calo del potere d’acquisto non è un fenomeno di breve termine, ma un cambiamento strutturale. L’economia cinese ha avuto risultati inferiori alle aspettative l’anno scorso e, nonostante l’introduzione di misure di sostegno ufficiali, come un parziale allentamento dei tassi o l’immissione nell’economia di miliardi di yuan, i risultati desiderati devono ancora concretizzarsi”.
Il fatto è, scrive Zhang, che “la crisi immobiliare si è intensificata, il debito degli enti locali rimane elevato, la spesa dei consumatori è debole, le esportazioni sono deludenti e si registra un notevole deflusso di aziende e capitali dal paese. Mentre il governo centrale ha implementato varie strategie per stimolare la crescita economica , queste misure di stimolo non sono più efficaci come lo erano nel 2008. Ci sono tre motori tradizionali della crescita economica: investimenti infrastrutturali, immobiliare ed esportazioni”.
Ora, “negli ultimi anni, i primi due di questi motori hanno subito una notevole stagnazione. Il settore immobiliare, che contribuisce per circa il 20% al Pil, non è più la forza trainante di una volta; al contrario, rischia di diventare un freno al progresso economico. Nel frattempo, gli investimenti infrastrutturali, che rappresentano circa il 24%, non possono più essere perseguiti liberamente come prima a causa degli ingenti debiti dei governi locali”.
Va bene, ma il futuro? Con ogni probabilità “la deflazione cinese non toccherà il fondo nel 2025. I recenti dati economici indicano che l’economia del Paese probabilmente rimarrà intrappolata in un ciclo deflazionistico per altri due anni. L’ indice dei prezzi al consumo e l’indice dei prezzi alla produzione industriale, più deboli del previsto, evidenziano questa tendenza deflazionistica in corso, peggiorando probabilmente la domanda interna già lenta. La deflazione cinese sta creando un circolo vizioso, con conseguente aumento della disoccupazione e riduzione della propensione dei consumatori a spendere, poiché le persone prevedono prezzi futuri più bassi. Per affrontare efficacemente il problema, la deflazione non può essere risolta semplicemente stampando più denaro: richiede una strategia olistica”.
Peccato che a Pechino siano un po’ sordi al problema. “Sembra improbabile che il presidente Xi cambi le sue abitudini di lunga data. Tende a porre un’enfasi eccessiva sul potenziamento delle capacità del settore manifatturiero high-tech, in particolare all’interno delle imprese statali, e sull’intervento del governo. Questa attenzione dall’alto verso il basso spesso va a scapito della creazione di un ambiente di supporto per le imprese private e della fornitura di assistenza mirata alla popolazione in merito al reddito. Inoltre, il supporto al settore dei servizi è spesso trascurato. La preoccupazione maggiore tra la comunità economica in Cina e a livello globale è se la crisi immobiliare del paese corrisponde alle bolle immobiliari sperimentate altrove. Se lo fa, ciò suggerisce che la Cina si trova di fronte a un problema ciclico: alla fine toccherà il fondo e si riprenderà. La domanda chiave ora è quando si verificherà quel punto di svolta per la ripresa”.