Nei giorni scorsi è trapelata la notizia dei maxi investimenti del fondo sovrano norvegese sul debito italiano. Non c’è troppo da stupirsi, il pragmatismo sui conti paga sempre, lo dice anche lo spread. Colloquio con l’economista ed ex dg di Assonime e fellow dell’Istituto Bocconi per l’analisi delle politiche europee, Stefano Micossi
Si può essere attraenti, ma non per sempre. E con alti e bassi. Quello dell’Italia sembra essere un buon frangente, se non altro perché ci sono delle cifre che parlano. È vero, a novembre il debito pubblico italiano ha sfondato la soglia psicologica dei 3 mila miliardi. Per alcuni, la naturale conseguenza di anni di bonus e sussidi, pandemici e post, che hanno gonfiato il deficit. Per altri, un macigno sempre più pesante, autentica ipoteca sulle future generazione.
La verità, però, sta nel mezzo: il debito italiano è sì enorme, ma anche molto meno costoso del passato. Lo spread tra Btp e Bund si è infatti costantemente mantenuto da mesi sotto i 120 punti base. E per stessa ammissione della Banca centrale europea il costo del debito italiano rispetto a quello tedesco si è assottigliato più di quanto non abbiano fatto i titoli francesi. Nei giorni scorsi, poi, è emersa una notizia. Il fondo pensioni sovrano norvegese, gestito dalla Norges Bank, tra i più grandi al mondo, ha in pancia 8 miliardi di titoli di Stato italiani.
La premier Giorgia Meloni, lo ha rivendicato, spiegando come la credibilità dell’Italia “ha portato per esempio qualche giorno fa un fondo di investimento norvegese a comprare oltre 8 miliardi di titoli di Stato italiani”. Nel complesso il fondo scandinavo ha aumentato il suo investimento in Italia a 22 miliardi di dollari, con un forte focus sui bond italiani. Come si spiega? Merito della manovra italiana promossa dall’Europa, a dispetto di quella francese o di qualche Paese frugale? Formiche.net ha chiesto un commento a Stefano Micossi, economista e per oltre 20 anni alla guida di Assonime, l’Associazione delle spa, e fellow dell’Istituto Bocconi per l’analisi delle politiche europee.
“Possiamo dire che oggi l’Italia vive una condizione di maggiore affidabilità, rispetto ad altre fasi del passato. E lo dice anche l’andamento dello spread”, spiega Micossi. “Questo governo, d’altronde, ha una politica finanziaria dichiaratamente prudente, che non minaccia la stabilità dei conti e dunque all’esterno trasmette fiducia. La politica di bilancio è conservatrice, questo è senza dubbio un aiuto”. E pensare che una volta si parlava, ciclicamente di fuga dei capitali.
“Questo”, chiarisce Micossi, “è successo quando ci sono stati governi di coalizione, in grado di spaventare gli investitori che temono sempre compromessi tra i partiti ai danni della spesa pubblica. Vede, a conti fatti l’esecutivo ha mostrato grande prudenza e pragmatismo sul bilancio pubblico. Non è un governo iperattivo, si è mosso con prudenza, non sta cambiando il mondo. Ma chi è in grado di farlo. Tanto basta la prudenza in cambio della stabilità finanziaria””.
Il discorso vira poi sulla manovra e la sua percezione all’esterno. “La promozione dell’Europa ha avuto il suo peso, non è il fattore principale, ma ha fatto capite ai mercati che l’Italia si comporta bene. Quello che conta è la politica di bilancio prudente. Forse è prematuro parlare di un miglioramento del rating (nel corso del 2025 alcune agenzie potrebbero rivedere al rialzo alcuni giudizi, ndr), anche perché il nostro debito rimane enorme. Se succederà, accadrà non certo domani o dopodomani”. E le imprese? Che percezione hanno? “I rapporti sono buoni al momento, perché se il governo trasmette una sensazione di stabilità e prudenza, allora anche le aziende si sentono più sicure a investire”.