Dalla fornitura diretta agli investimenti industriali, il Nord Europa si distingue per il forte sostegno militare all’Ucraina. Con ricadute che vanno oltre l’orizzonte temporale del conflitto
Sin dall’inizio del conflitto in Ucraina i Paesi del Nord Europa sono stati tra più grandi sostenitori dello sforzo bellico di Kyiv, e continuano tutt’ora a detenere questa posizione. Basta una rapida occhiata ai dati forniti dall’Ukraine Support Tracker del Kiel Institute for the World Economy per capire le proporzioni: se si prendono come riferimento le percentuali di aiuti rispetto al Pil registrate fino ad ottobre del 2024, si può notare che Danimarca, Svezia e Finlandia si classificano rispettivamente al secondo, al quinto e al sesto posto nella classifica dei donatori. Ma nonostante un livello di impegno simile sul piano economico, le modalità di aiuto seguite da questi Paesi sono ben diverse.
Da una parte ci sono i governi di Helsinki e di Stoccolma, che hanno favorito un rifornimento diretto, in modo non troppo dissimile da quanto fatto sino ad ora dall’amministrazione statunitense. Armi, equipaggiamenti, materiale logistico e quant’altro di utile è stato prelevato direttamente dagli arsenali svedesi e finlandesi per essere inviato già pronto all’uso ai militari ucraini. Negli scorsi giorni sia la Svezia che la Finlandia hanno annunciato un nuovo round di aiuti militari per Kyiv, con Helsinki che ha approvato il suo ventisettesimo pacchetto di aiuti (per un valore di 198 milioni di euro) poche ore dopo il messaggio in cui Stoccolma dava notizia del suo diciottesimo pacchetto di aiuti, che con il suo valore totale di 1.23 miliardi di dollari risulta ad oggi essere la più grande tra le tranche d’aiuti svedesi. Nel pacchetto sono incluse, tra le altre cose, 32 imbarcazioni d’assalto Stridsbåt 90, un milione di munizioni da 12.7 mm, 1500 missili anticarro Tow, e 200 cannoni anticarro At4.
Dall’altra parte sta la Danimarca, che pur non disponendo di un solido apparato militare-industriale è riuscita comunque a sostenere lo sforzo bellico di Kyiv canalizzando le sue risorse (e non solo) verso l’industria della difesa ucraina. L’acquisto di armi locali permette di portare le armi al fronte più velocemente e a costi inferiori, e facilita l’addestramento e la manutenzione. Inoltre, l’Ucraina può così sviluppare le sue potenzialità come grande esportatore di armi in Europa, una dinamica che dopo la fine del conflitto in corso potrebbe essere tutt’altro che secondaria.
Il modello danese ha riscosso un enorme successo in Ucraina, che nel corso del 2025 si aspetta di raccogliere almeno un miliardo di dollari dai partner attraverso l’iniziativa, secondo quanto dichiarato dal primo ministro Denys Shmyhal al Parlamento ucraino lo scorso 10 gennaio. L’adesione di altri alleati al progetto promosso da Copenaghen è stata una delle priorità per il Presidente Volodymyr Zelensky negli incontri avuti nelle ultime settimane con il Segretario Generale della Nato Mark Rutte e il Ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius. Al momento, oltre alla Danimarca si sono uniti all’iniziativa anche la Lituania, l’Islanda, la stessa Svezia (che destinerà anche una parte del pacchetto di aiuti già menzionato in precedenza a questo fine) e il Canada. Anche l’Unione Europea ha agito in modo simile, destinando allo sviluppo dell’industria della difesa ucraina una parte degli asset russi congelati allo scoppio del conflitto.
“Il modello danese è ideale, in grado di sostenere l’industria della difesa e le forze armate ucraine allo stesso tempo”, ha dichiarato il direttore del think tank ucraino New Geopolitics Research Network Mykhailo Samus, “abbiamo un enorme spazio per la crescita e lo sviluppo di questo progetto”. Secondo le stime del ministero della difesa danese, Kyiv avrebbe prodotto 590 milioni di euro di armamenti ‘autoctoni’ soltanto nel 2024.
Tipologie di aiuto complementari, che hanno senza dubbio contribuito a rallentare l’avanzata di Mosca. Stimolando al contempo l’apparato industriale-militare ucraino, che grazie a questo sostegno potrebbe presto raggiungere nuovi picchi qualitativi. Non solo rendendosi un potenziale esportatore verso l’Europa alle prese con i problemi di riarmo, ma anche garantendo alle truppe ucraine una maggiore capacità militare. Una dinamica che potrebbe rivelarsi importante tanto dopo quanto prima della fine dei combattimenti.