Skip to main content

Verso una riforma dell’Oms? La nuova mossa Usa (che punta alla leadership)

L’amministrazione Trump starebbe valutando una riforma dell’Oms che potrebbe portare gli Stati Uniti a riconsiderare l’uscita dall’agenzia, ipotizzando la nomina di un americano alla sua guida nel 2027. La questione solleva un dibattito più ampio sul ruolo dell’Oms nella salute globale, sulle sue sfide operative e sulla dipendenza dai finanziamenti volontari

Donald Trump sembra essere pronto a riconsiderare l’uscita dall’Organizzazione mondiale della sanità. L’amministrazione statunitense starebbe infatti valutando un piano di riforma dell’Oms che prevede, tra le altre misure, la possibilità di mettere un americano alla guida dell’agenzia, riporta Reuters. Il documento, condiviso con i consiglieri del presidente prima del suo insediamento il 20 gennaio, suggeriva il ritiro immediato degli Stati Uniti dall’Oms, con un’uscita definitiva prevista per il 2026, a meno che l’organizzazione non venga “ripulita”.

Il direttore della trasformazione dell’Oms, Søren Brostrøm, ha difeso l’operato dell’organizzazione, sottolineando i progressi realizzati sotto la guida di Tedros Adhanom Ghebreyesus, tra cui una crescente indipendenza dai donatori e una maggiore trasparenza finanziaria. Tuttavia, il documento visionato dall’agenzia di stampa britannica definisce l’Oms “l’agenzia più caotica e meno efficace delle Nazioni Unite” e accusa l’organizzazione di non aver attuato riforme strutturali negli ultimi vent’anni.

VERSO UNA LEADERSHIP USA?

Il piano prevede di spingere per la nomina di un direttore generale statunitense nel 2027, alla scadenza del mandato attuale. L’assenza di una leadership made in Usa avrebbe, secondo il documento, contribuito alla cattiva gestione delle risorse e alla riduzione dell’efficienza operativa dell’agenzia Onu. Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno sospeso la collaborazione con l’Oms, incluso il dialogo con i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc).

RISORSE LIMITATE E SFIDE COMPLESSE

Presa da sola, l’uscita degli Stati Uniti dall’Oms, seguita poi qualche giorno fa dall’annuncio del presidente argentino Javier Milei, può sembrare solo un atto politico. Tuttavia, già la pandemia da Covid-19, e ancora prima l’epidemia di Ebola del 2013-16, avevano messo in luce le fragilità di un’agenzia che, pur avendo il compito di garantire “il più alto livello possibile di salute per tutti i popoli” – così recita il preambolo della costituzione dell’Oms – deve fare i conti con risorse limitate e sfide sempre più complesse. Emergenti minacce sanitarie globali come Mpox, Marburg ed Ebola, il crescente peso delle malattie croniche e la necessità di un approccio one health richiedono strategie diverse e strumenti adeguati. In questo contesto le ragioni addotte da Trump per l’uscita possono costituire un ulteriore spunto di riflessione sulle criticità in seno al funzionamento dell’agenzia.

LA NECESSITÀ DI UNA RIFORMA STRUTTURALE

Il budget annuale dell’organizzazione (dati relativi al biennio 2024-2025) ammonta a poco più di 3 miliardi di dollari, assimilabile, se non inferiore, a quello di alcuni ospedali di grandi città. Ad esempio, basti pensare che il New York Presbyterian – il più grande ospedale della città – aveva nel 2023 un volume di fatturato pari a 13 miliardi di dollari (stime Forbes) con uscite che ammontano a più di 12 miliardi. Cifre che mettono in prospettiva la capacità operativa dell’agenzia, in virtù del suo obiettivo. Se il ruolo dell’Oms nella salute globale è indiscutibile, lo è altrettanto il bisogno di una sua riforma strutturale. Dunque, difendere l’organizzazione senza affrontarne le problematiche rischia di essere una posizione non sufficientemente lungimirante di fronte a un mondo che chiede risposte più rapide ed efficaci. Non solo l’agenzia è vincolata da contributi volontari, che minacciano l’indipendenza della stessa, ma risulta fondamentale chiedersi se questa deve agire come organizzazione di salute pubblica, ente di finanziamento verticale o agenzia di coordinamento in risposta alle emergenze. Il capacity-building delle singole nazioni, le sfide legate alle malattie infettive, lo sviluppo di guidelines tecniche e di obiettivi strategici, sono tutte sfide riconducibili al raggiungimento “del più alto livello possibile di salute”. Tuttavia, la prevenzione di outbreak di malattie infettive di portata globale non può essere protetta dagli stessi meccanismi in atto per la risposta ad altre emergenze (perché di questo comunque si tratta) sanitarie come ad esempio l’aumento di incidenza delle malattie croniche o la crescita della popolazione obesa.

UN RUOLO FONDAMENTALE

Due aspetti restano, comunque, centrali. Innanzitutto, l’Oms non è un organismo indipendente: la sua struttura, il suo mandato e la sua capacità di azione dipendono dalla volontà politica e dai contributi degli Stati membri. Pertanto, se l’agenzia mostra delle criticità, spetta ai governi guidarne la riforma. In secondo luogo, nonostante le fragilità insite nel suo funzionamento, non va dimenticato il ruolo fondamentale che essa ricopre, soprattutto nei paesi a basso reddito, dove spesso rappresenta il primo interlocutore per le autorità sanitarie nella gestione di emergenze come epidemie, catastrofi naturali o crisi umanitarie. In questi contesti, garantisce accesso ai farmaci, coordina le risposte alle emergenze e fornisce supporto tecnico a sistemi sanitari fragili.

CONCENTRARSI SUI SETTORI A VALORE AGGIUNTO

Di fronte alla sfida lanciata dall’amministrazione statunitense, è importante poter mettere in atto revisione costruttiva dello scope e del funzionamento dell’agenzia sia con o (malauguratamente) senza gli Stati Uniti, che – vale la pena ricordarlo – sono il più grande contributore storico al budget dell’organizzazione internazionale. Organizzazione che deve, in questo momento critico, concentrarsi sui settori dove può portare maggiore valore aggiunto. I progetti a finanziamento verticale godono già del contributo di altri attori internazionali quali, ad esempio, Gavi – l’alleanza per i vaccini – o Global fund – per il contrasto ad Aids, tubercolosi e malaria; allo stesso tempo enti come la European medicine agency (Ema) o la Food and drug administration (Fda) statunitense sono già attrezzati sul fronte regolatorio. La cooperazione internazionale risulta, però, fondamentale in risposta alle minacce epidemiche e pandemiche per cui il coordinamento da parte dell’agenzia può continuare a portare un vero added value, svincolando le minacce sanitarie transfrontaliere dal più grande obiettivo della salute globale. Questo, ovviamente, può avvenire solamente alla luce di una governance trasparente e inclusiva e di una volontà politica ampia da parte dei Paesi membri.


×

Iscriviti alla newsletter