L’ex presidente della Bce invita l’Ue a cercare la soluzioni ai propri problemi senza tirare in ballo gli Stati Uniti. I veri dazi sono quelli in casa propria. Bankitalia, però, avverte: con la stretta tariffaria rischiano di più Italia e Germania
Guardare in casa propria, senza cercare in quella altrui la soluzione ai problemi. Mario Draghi prende carta e penna e dice la sua sui dazi americani che incombono sull’Europa. “L’Unione europea deve concentrarsi sui problemi che si è creata da sola, operando una svolta radicale, piuttosto che su quelli dovuti ai rapporti con l’amministrazione Usa a guida Trump”. Questo il succo di un articolo pubblicato sul Financial Times, eloquentemente intitolato Lasciamo stare gli Usa: l’Europa è riuscita a mettersi dazi da sola.
Perché, secondo Draghi, “ci sono due fattori, tutti europei, alla base di molti dei problemi dell’Unione. Il primo è l’incapacità di lungo termine dell’Ue di intervenire sulle penurie di approvvigionamento, specialmente sulle barriere interne e i fardelli regolamentari. Questi sono ampiamente più dannosi per la crescita di qualunque dazio possano imporre gli Stati Uniti. E i loro effetti dannosi stanno crescendo”. Draghi cita in tal senso le stime del Fondo monetario internazionale secondo cui le barriere interne pesano come dazi con una quota del 45% sul manifatturiero del 110% sui servizi. Al tempo stesso Bruxelles ha consentito alla regolamentazione di ostacolare la crescita delle imprese tecnologiche, bloccando gli aumenti di produttività.
Il secondo fattore è la tolleranza dell’Europa “a una domanda interna persistentemente debole, quantomeno dalla crisi del 2008”. Secondo l’ex premier ed ex presidente della Bce, entrambi questi elementi, approvvigionamenti e domanda, sono ampiamente dovuti all’Europa stessa. “Per questo ha il potere di cambiarli. Ma questo richiede un cambiamento fondamentale di mentalità. Finora l’Europa si è focalizzata su obiettivi specifici o nazionali, senza tenere conto del loro costo collettivo. Ora è chiaro che operando in questo modo non ha assicurato né welfare per gli europei, né finanze pubbliche sane, e nemmeno autonomia nazionale che ora è minacciata da pressioni esterne. Questo è il motivo per cui sembrano cambiamenti radicali”.
Nelle stesse ore della presa di posizione di Draghi, il governatore di Bankitalia, Fabio Panetta, intervenendo al congresso Assiom-Forex, ha provato a tranquillizzare mercati e imprese. “I nuovi dazi approntati negli Usa dall’amministrazione Trump avranno ricadute più contenute nell’area euro rispetto all’economia globale, con circa mezzo punto percentuale di crescita in meno rispetto a 1,5 punti in meno ma con effetti maggiori per Germania e Italia, data la rilevanza dei loro scambi con gli Stati Uniti: l’esperienza storica mostra che le guerre commerciali danneggiano la crescita, anche nei paesi che le avviano”.
Dunque, a sentire Palazzo Koch, “secondo le nostre stime, se i dazi annunciati in fase pre-elettorale fossero attuati e accompagnati da misure di ritorsione, la crescita del Pil globale si ridurrebbe di 1,5 punti percentuali. Per l’economia statunitense l’impatto supererebbe i 2 punti. Nella fase iniziale questi impatti negativi potrebbero essere amplificati dall’aumento dell’incertezza sulle politiche commerciali, già evidente nelle ultime settimane. Il caso più significativo è quello della Cina. Dato l’eccesso di capacità produttiva nel settore industriale. L’imposizione di dazi elevati da parte degli Stati Uniti potrebbe spingere gli esportatori cinesi a cercare nuovi mercati per compensare il calo delle vendite sul mercato americano. In tale scenario le imprese italiane ed europee si troverebbero esposte a crescenti pressioni competitive da parte delle aziende cinesi, la cui specializzazione settoriale è sempre più simile a quella europea”.