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Il Rublo digitale è un boomerang per Mosca. Ecco perché

Criptovalute e monete virtuali ma con corso legale rischiano di far esplodere in Russia i costi energetici, oltre a mandare in corto circuito il sistema bancario. Ecco cosa scrivono gli economisti dell’Istituto australiano per gli affari internazionali

Nell’agosto del 2023, in pieno psicodramma valutario, la Russia sembrava aver trovato la soluzione per risollevare le sorti della propria moneta in caduta libera: piazzare sul mercato un rublo formato digitale, un po’ come fatto dalla Cina mesi prima. E, perché no, tentare la saldatura valutaria proprio con il Dragone. Il senso profondo dell’operazione rublo digitale era, comunque, aggirare le sanzioni occidentali che ancora oggi tengono ingessato il grosso delle transazioni da e per la Russia. La stessa filosofia che, un anno dopo, estate 2024, ha portato Mosca a decidere di legalizzare le criptovalute, incluso Bitcoin.

Ma ecco il problema: nonostante i buoni propositi, sia la corsa al rublo digitale, tecnicamente stablecoin, ovvero valuta virtuale ma agganciata al valore della moneta legale, il rublo, sia l’apertura ai criptoasset, rischia di portare a un nulla di fatto. Il perché lo spiegano gli economisti dell’Istituto australiano per gli affari internazionali, autori di un report diffuso proprio in queste ore. C’è di mezzo l’energia, ovvero i costi di estrazione e gestione delle valute virtuali, agganciate al rublo o meno sposta poco.

Cominciando proprio dalle criptovalute, “il futuro mining (l’estrazione della moneta, ndr) di Bitcoin richiederà quantità enormi e sempre crescenti di energia e potenza di calcolo. Lo stesso vale per il mining della maggior parte delle criptovalute alternative. È qui che la Russia potrebbe trovarsi ad affrontare limitazioni strutturali, indipendentemente dal fatto che decida o meno di introdurre un rublo digitale: il resto della sua infrastruttura energetica non è adatta a gestire aumenti così significativi della domanda di energia, che l’estrazione delle criptovalute comporta. La sua rete elettrica è per giunta vecchia e necessita di investimenti e ammodernamenti”.

Gli esperti, hanno pochi dubbi. Mosca “non ha un’industria nazionale di semiconduttori per soddisfare le sue esigenze e deve fare affidamento sulla Cina per i componenti, importando, ad esempio, il 70-90% dei suoi chip per computer. Tuttavia, a causa del timore di sanzioni secondarie e preoccupazioni per la sicurezza nazionale, i componenti sostitutivi cinesi sono meno avanzati e hanno un tasso di difettosità del 40%. Di conseguenza, la capacità della Russia di aggiornare la sua infrastruttura industriale e commerciale è limitata”.

Non è tutto. “In questo contesto, l’incursione di Putin nel territorio delle criptovalute potrebbe rivelarsi un pericoloso campo minato. La pressione esercitata sull’infrastruttura energetica russa e i costi di transazione più elevati mettono in discussione l’efficacia dell’uso diffuso delle criptovalute e potrebbero mettere a rischio le routine quotidiane del settore privato e dei russi di tutti i giorni. Il potenziale caos che queste transazioni potrebbero causare al sistema bancario nazionale, sebbene ancora indeterminato, potrebbe anche essere una fonte di pericolo”. Insomma, l’incursione di Vladimir Putin “nel regno delle criptovalute sembra più un altro atto di disperazione, considerando gli ostacoli e l’incerto ritorno sull’investimento. Pertanto, la domanda diventa: una criptovaluta basata in Russia e lo stesso rublo digitale possono sostenersi? Ne varrà la pena?”. Chissà.


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