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Asse Draghi-Trump su riforme in Italia? La versione di Sisci

Il governo di Giorgia Meloni o di un eventuale successore di forze oggi all’opposizione sono disposti a riforme trumpiane, ben più drastiche di quelle prescritte da Draghi? Il commento di Francesco Sisci

La richiesta americana di un aumento delle spese militari del 5% all’Europa non è un semplice numero. Esso significa il raddoppio delle spese militari in quasi tutti i Paesi della Ue. Non si può ottenerlo spostando fondi da una voce all’altra del bilancio, facendo magari crollare all’improvviso lo stato sociale e accendendo proteste incontenibili. Si deve arrivare al traguardo rimettendo in moto la crescita economica.

Per questo il presidente della commissione Ursula von der Leyen, ben prima che la presidenza di Donald Trump fosse una certezza, aveva chiesto all’ex premier italiano Mario Draghi un rapporto sulla competitività. Da ciò è risultato che l’Europa ha bisogno di riforme drastiche e integrazione economica.

Tali riforme sono in sostanza in linea con quelle che sta applicando Trump in America. Anche le tariffe non sono uno strumento peregrino, ha sottolineato nei giorni scorsi Draghi.

Le questioni per l’Italia quindi sono due. Una è di sostanza: il governo di Giorgia Meloni o di un eventuale successore di forze oggi all’opposizione sono disposti a riforme trumpiane, ben più drastiche di quelle prescritte da Draghi?

Finora la risposta è stata no. L’esecutivo attuale è stato attento persino a non pestare calli di piccole corporazioni, come i tassisti o gli spiaggisti (riserva antica della sua destra sociale). Non è chiaro se voglia ora partire lancia in resta.

Senza riforme economiche la soglia del 5% diventa irraggiungibile e i pratici americani, con tutta la possibile simpatia personale per “Giorgia”, difficilmente avranno un rapporto serio con l’Italia.

Questo apre un secondo scenario. Se Draghi, von der Leyen, e il cancelliere tedesco in pectore Friederich Merz si allineano con le riforme economiche di Trump, e quindi con l’obiettivo del 5%, si crea un asse fondamentale in Europa al di là delle simpatie a Washington per questo o quel leader, questo o quel partito di destra più o meno radicale.

La destra radicale in Europa è larga parte “sociale”, cioè nazional-socialista, non liberale come la scuola di Vienna o quella di Chicago, che tanto piacciono al consigliere principe di Trump, Elon Musk. L’Afd oggi sembra dichiarare un suo spostamento liberale. Si vedrà. Ma il resto della destra dura europea ha imparato a odiare il liberalismo perché estensione della “plutocrazia”.

Non è chiaro cosa farà Meloni ma il problema è concreto e urgente. L’opposizione anche è confusa, e questo aiuta Meloni. Dall’altra parte invece Draghi sa cosa fare.

Forza Italia sembra già essersi accorta dello spostamento e l’intervista di Marina Berlusconi a Claudio Cerasa al Foglio, sembra aprire la porta proprio a Draghi. Non è un problema di simpatie ma di pratiche politiche. Su questo terreno Meloni e la sua opposizione dovrebbero rispondere e adeguarsi o rischiano di essere travolti dagli eventi.


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