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Allarme in Germania. La polizia ha condiviso troppo con la Cina?

Negli ultimi dieci anni, la Bundespolizei e le autorità di sicurezza cinesi hanno sviluppato una serie di scambi e progetti congiunti, toccando ambiti chiave come il controllo delle frontiere, la gestione della migrazione irregolare e il contrasto alla criminalità documentale. Durante eventi internazionali come l’Eurocampionato, osservatori cinesi sono stati invitati in Germania per un confronto metodologico, mentre incontri di alto livello hanno coinvolto anche la polizia di Hong Kong, nota per le sue pratiche repressive

La Bundespolizei e le autorità di sicurezza cinesi hanno sviluppato, nell’ultimo decennio, una serie di scambi e progetti congiunti, che hanno toccato vari ambiti come il controllo delle frontiere, il contrasto alla criminalità documentale e la gestione della migrazione irregolare. Già durante l’Eurocampionato, la polizia tedesca ha invitato osservatori cinesi per un reciproco scambio di metodologie di sicurezza. In questo ciclo di incontri, che ha visto l’attuazione di ben 35 progetti negli ultimi dieci anni – interrotti durante la pandemia e poi ripresi nel 2023 – si è discusso di strategie per il controllo delle frontiere, la prevenzione dell’immigrazione irregolare e il contrasto alla criminalità documentale. Lo riporta il quotidiano tedesco Der Tagesspiegel.

Il giornale menziona altri scambi, come l’incontro di alto livello con la polizia di Hong Kong – nota per la sua durezza nel reprimere manifestazioni pacifiche – e una collaborazione congiunta nel settore militare tra la Bundeswehr e le autorità cinesi. Quest’ultima, sebbene giustificata come mezzo per favorire trasparenza e prevenire malintesi, ha subito una riduzione delle attività a seguito di episodi di spionaggio, evidenziando il rischio che informazioni sensibili possano essere sfruttate contro la sicurezza nazionale tedesca.

Un elemento chiave riguarda i “Büros für öffentliche Sicherheit”, uffici di sicurezza pubblica cinesi operanti all’estero. Pur essendo ufficialmente concepiti per facilitare il supporto burocratico ai cittadini cinesi, questi uffici sono utilizzati anche per monitorare e intimidire i dissidenti, configurandosi così come strumenti di repressione transnazionale. Questo meccanismo di controllo ha sollevato forti preoccupazioni, poiché permette a un regime autoritario di estendere la propria influenza oltre i confini nazionali, mettendo in pericolo chiunque osi esprimere critiche.

L’articolo del quotidiano tedesco ha innescato un acceso dibattito politico in Germania: parlamentari come i liberal-democratici Peter Heidt e Gyde Jensen criticano l’ampiezza di questi scambi, denunciando il pericolo di condividere tecniche e informazioni operative con un regime che adotta pratiche di sorveglianza e repressione. Roderich Kiesewetter, deputato della Cdu e già presidente della commissione Intelligence del Bundestag, ha definito la vicenda “incredibile” e ha parlato della necessità di “un cambiamento”.

Ma il fenomeno delle stazioni di polizia è diffuso in molti Paesi occidentali. A metà dicembre, davanti a un tribunale federale di Brooklyn, Chen Jinping, 60 anni, è diventato il primo reo confesso, ammettendo di aver gestito una “stazione di polizia” clandestina nel cuore di Chinatown, a Manhattan, per esercitare pressioni sui dissidenti cinesi e reprimere le critiche al regime di Pechino. Un’inchiesta internazionale  della ong spagnola Safeguard Defenders ha rivelato due anni fa la presenza di questi “uffici” anche in Italia, che sarebbe al primo posto per il numero di questi presidi sul suo territorio (undici): istituite formalmente come centri di consulenza per assistere i connazionali all’estero nel rinnovo delle patenti o altre pratiche affini durante la pandemia di Covid-19, le sedi, sostiene Safeguard Defenders, sarebbero piuttosto utilizzate dalla Cina per sorvegliare, perseguire e in alcuni casi rimpatriare gli esuli e i dissidenti, avvalendosi di accordi bilaterali in materia di sicurezza siglati con i governi ospitanti.


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