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Perché il ritorno alla crescita economica non è in vista. Scrive Zecchini

Gli indici Pmi in Germania e Francia non migliorano e restano in bilico tra decrescita e stagnazione. I consumi e più in generale la domanda interna non tira ma rimane debole, come ha sottolineato per l’Italia il governatore  di bankitalia, Fabio Panetta nell’ultimo incontro all’Abi. E le erogazioni di credito languono. L’analisi di Salvatore Zecchini

Non avviene frequentemente che si debbano rivedere in peggio le prospettive sull’andamento economico di un anno poco dopo il suo inizio. Questo è quanto attualmente si profila alla luce dei segnali che provengono da vari indicatori. Gli indici Pmi in Germania e Francia non migliorano e restano in bilico tra decrescita e stagnazione. I consumi e più in generale la domanda interna non tira ma rimane debole, come ha sottolineato per l’Italia il Governatore Panetta nell’ultimo incontro all’Abi. Le erogazioni di credito languono, anche perché le imprese esitano a imbarcarsi negli investimenti necessari per tenere il passo dell’innovazione tecnologica e fronteggiare la concorrenza.

La produzione industriale non avanza né in Italia né in Germania che sono i maggiori produttori in Europa, e resta impaludata nel clima d’incertezza che domina a seguito di nuovi sviluppi. Tra questi i più inquietanti vengono dalle misure del Presidente americano, che sta sconvolgendo l’ordine mondiale non solo economico, ma geopolitico. L’evoluzione degli scambi commerciali è particolarmente colpita dalle misure protezionistiche, che riducono il ruolo propulsivo dei commerci nell’espansione dell’economia mondiale. L’allentamento dei freni monetari può fare ben poco nel sostenere la crescita in un contesto di carenza di domanda e tensioni sui prezzi non ancora domate.

In tale quadro economico le possibilità di ripresa nell’Ue sono realizzabili soprattutto attraverso uno sforzo coordinato di tutti gli Stati membri e della stessa Commissione per affiancare a una strategia di medio periodo una con un orizzonte più corto rivolta a sollecitare gli investimenti privati e pubblici, e rimuovere alcuni impedimenti che frenano maggiormente l’iniziativa imprenditoriale. In sintesi, un breve stimolo alla domanda interna in parallelo con un temporaneo allentamento di vincoli. Entrambi servirebbero sia a ridurre l’incertezza, che induce le imprese e famiglie a ritardare i programmi di spesa, sia a rendere più propizio l’ambiente economico.

Per la parte di medio periodo, l’avvio degli interventi è avvenuto con l’attuazione dei Pnrr, che includono tra l’altro riforme di struttura, ma l’anno prossimo si concludono, col rischio di lasciare il posto a un vuoto di azioni se non si prolungasse un analogo impegno negli anni successivi. È invece sul piano della gestione delle politiche congiunturali che non si assiste a nulla più che la convergenza tra gli Stati membri di misure restrittive dei disavanzi pubblici e di contenimento dei debiti pubblici. In questo indirizzo non si vede neanche nelle maggiori economie lo sforzo di ricomporre le finanze pubbliche nella direzione di preservare e possibilmente dare più spazio agli interventi maggiormente produttivi per la crescita economica. In Italia, in particolare, le misure discrezionali, indicate nell’ultimo Documento programmatico di bilancio per il sostegno alle imprese, si limitano a qualche azione che impegna pochi decimali di un punto percentuale di Pil fino al 2027 (Tab.II.1-12).

Un’iniziativa di grande portata è stata, invece, assunta dalla nuova Commissione Ue con la proposta di un esteso programma di politica industriale, la Bussola per la Competitività. In specie, si prospetta una lunga serie di nuove norme, strategie di settore, piani e revisioni di regolamenti che nel suo insieme frammentato formano una manovra molto ambiziosa, imperniata più sulla mobilitazione di capitali privati che su risorse pubbliche, con una tabella di marcia pluriennale e fondata su un consenso tra gli Stati, che non appare così facile da acquisire. Qual che sia la fattibilità di queste proposte, gli effetti di questo programma non si avvertirebbero nel breve periodo, malgrado la Commissione proponga di assumere il ruolo di coordinatore degli interventi nazionali, di allinearli agli obiettivi comuni, monitorarli ed assicurarne la realizzazione.

Non si tratta, infatti, di un coordinamento delle misure congiunturali (ovvero, delle politiche macroeconomiche della domanda) che rimangono vincolate ai Piani di Stabilità, ma di coordinare gli interventi nel solco della esistente strategia per la duplice transizione digitale e verde, in specie nei campi dell’energia, delle infrastrutture di trasporto e per il digitale, e nei comparti industriali di gran rilevanza. Se sul digitale vi è già una convergenza tra Stati, sul contrasto al cambiamento climatico sono emersi dissensi sui modi e sui tempi della strategia corrente. L’argomentazione di fondo è che questo cambiamento tecnologico spiazza le industrie nazionali, rende obsoleti i grandi investimenti effettuati in precedenza e genera costi che gravano sulla competitività, particolarmente nel confronto con i concorrenti stranieri non soggetti agli stessi vincoli.

Ancor prima delle decisioni del Consiglio sul programma, la Commissione è andata avanti nella sua attuazione, presentando una proposta per la semplificazione delle regole e una sulla decarbonizzazione delle produzioni industriali. La prima consiste nell’utilizzo degli strumenti esistenti per snellire gli adempimenti amministrativi ed ottenere una riduzione dei costi amministrativi che ricadono sulle imprese. Si prevede un’analisi dell’impatto delle attuali regolamentazioni sulle imprese, specialmente le Pmi, un’analoga verifica per le nuove prima dell’adozione, il non incremento del loro insieme mediante il bilanciamento di ogni nuova con l’eliminazione di una esistente, e un dialogo con le imprese e gli altri interessati sulle difficoltà ed oneri che incontrano. L’obiettivo è ridurre di un quarto i costi degli adempimenti amministrativi periodici, con un risparmio per le imprese stimato in 37,5 miliardi per il prossimo quinquennio.

Nel complesso, nessun radicale impulso alla competitività, ma un processo di efficientamento della regolazione con gradualità e con un freno alle tendenze a regolare sempre più le attività d’impresa, particolarmente quelle a contenuto di grande innovazione, come si è visto per l’Intelligenza Artificiale. Un processo che è strutturato con cadenza annuale, si basa su verifiche d’impatto e si conclude con provvedimenti di semplificazione. Gli adempimenti amministrativi diverrebbero più semplici e meno onerosi ma resterebbero. Non sarebbe un grande stimolo alle iniziative imprenditoriali e agli investimenti, mentre si manterrebbe una disparità competitiva con la concorrenza di paesi che cancellano onerose regolamentazioni, come ha iniziato a compiere la nuova amministrazione americana.

Per superare questa ed altre disparità interviene la nuova proposta di un Patto per un’industria non-inquinante (Clean industrial deal). Il Patto costituisce la cornice di una strategia che si articola su diversi piani di settore, con l’obiettivo di agevolare la transizione verde con vari aiuti che vanno dall’intervento per abbassare i prezzi dell’elettricità e gas, alla riforma del mercato elettrico e al potenziamento delle infrastrutture energetiche, a velocizzare le autorizzazioni per gli investimenti di struttura, sviluppare “mercati guida”, applicare nelle commesse pubbliche la preferenza per tecnologie pulite e possibilmente europee, incentivare il riciclaggio dei materiali, modificare la disciplina sugli aiuti di Stato e applicare i dazi per le emissioni incorporate nei prodotti importati. Il programma richiede l’incremento degli investimenti compatibili con la decarbonizzazione nei settori prioritari (energia, industria e trasporti) per 480 miliardi all’anno, un importo notevole per la cui copertura si deve fare appello ai capitali privati. Per mobilitarli l’Ue potrebbe fornire aiuti limitati in funzione complementare attraverso incentivi e garanzie su finanziamenti ed investimenti.

Mobilitare questi finanziamenti non è il solo aspetto problematico da affrontare, perché l’impostazione di fondo della strategia e la sua articolazione su vaste aree d’intervento presentano non poche sfide. In generale, il suo disegno è orientato ad accelerare la transizione verde e combinarla con il rilancio della produzione industriale, mentre diversi paesi tra cui l’Italia propugnano una valutazione più realistica degli ostacoli e dei rischi a cui vanno incontro i sistemi industriali. In un quadro internazionale in cui i maggiori paesi industriali segnano il passo nel decarbonizzare, un’accelerazione in Europa sarebbe penalizzante per l’industria europea nel confrontarsi con la concorrenza internazionale.

Gli aiuti previsti dal programma hanno carattere in gran parte strutturale, i tempi di esecuzione non appaiono brevi, producono benefici non immediati e non appaiono idonei ad attrarre quei volumi di capitali nella fase attuale, allorquando investimenti in altre economie con minori vincoli ed ambizioni di contrasto climatico possono offrire rendimenti più allettanti. Nondimeno, alcune misure per l’abbassamento dei costi dell’energia, insieme a quelle di sostegno all’industria automobilistica, come il rinvio delle sanzioni per i ritardi nella decarbonizzazione, se fossero presi a carico della finanza comunitaria, potrebbero risvegliare la produzione insieme ai consumi già da quest’anno. Anche il criterio della preferenza comunitaria per gli acquisti pubblici, a parità di altre condizioni con i produttori esteri, potrebbe espandere le opportunità di mercato per le imprese europee. Ma complessivamente questa strategia non potrà dare un efficace impulso all’economia nell’anno corrente; lo darebbe negli anni avvenire, sempre che fosse coerente con i tempi di aggiustamento delle imprese al nuovo contesto.

L’Italia, non potendo far leva su questi programmi per rianimare la crescita già da questo anno, dovrà intervenire autonomamente e rapidamente. Le idee non mancano tra gli esperti e le organizzazioni imprenditoriali, mentre scarseggiano sui modi e tempi per reperire le necessarie risorse. Alcuni economisti suggeriscono di ripristinare gli aiuti agli investimenti innovativi secondo il meccanismo di Industria 4.0 visto che il successore riscuote poco interesse per la complessità delle procedure. Altri suggerimenti vertono sull’accelerazione degli investimenti inclusi nel Pnrr, alleggerire le bollette elettriche disaccoppiandole dall’andamento delle quotazioni del gas naturale, aumentare la concorrenza tra banche per incrementare i flussi di credito alle imprese e migliorare la qualificazione dei lavoratori.

La Confindustria chiede una significativa riduzione dei costi energetici ed efficaci incentivi agli investimenti e alla produttività. In particolare, occorre superare gli attuali limiti all’agevolazione fiscale dell’Ires premiale per gli investimenti e puntare anche a incentivare gli incrementi di produttività. Di fronte alla crisi dell’industria dell’auto, chiede di rivedere i tempi e i modi del processo di decarbonizzazione, nel senso di rinviare le scadenze e attenersi alla neutralità tecnologica piuttosto che puntare solo sull’elettrico.

Tra Commissione, imprese, esperti e anche il governo sembra esserci qualche convergenza sulla necessità di intervenire nei campi del caro energia, dell’avanzamento verso l’economia verde e dello stimolo agli investimenti. Comune anche il senso di dover agire con urgenza. Il come finanziare le misure rimane, invece, indefinito e di difficile soluzione in presenza dei vincoli dei Piani di Stabilità. Non si può contare sugli effetti di nuove riduzioni dei tassi ufficiali della Bce sia perché il rischio di rialzi dell’inflazione è presente, sia perché l’accomodamento monetario non è sufficiente a innescare una ripresa.

Né riallocare risorse pubbliche da spese correnti a quelle in conto capitale è facile e rapido, anche in presenza di eccessi nelle spese assistenziali. Alla fine una soluzione di compromesso potrebbe risiedere nell’allentare per questo anno i vincoli del Patto di Stabilità in funzione di un indirizzo delle politiche della domanda orientato a promuovere investimenti e riforma della politica energetica. Meglio cedere nel breve termine su alcuni vincoli per ottenere i risultati desiderati e anche durevolmente.


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