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Condanniamo la guerra, ma ci offendiamo ogni giorno. La riflessione di Ciccotti

Aggressività, toni esagitati, offese, brutte parole nei campetti di calcio di periferia, negli studi televisivi, in Parlamento. Epperò, siamo tutti contro il bullismo a scuola. Preghiamo per la vita del Papa, e due minuti dopo ci aggrediamo. La riflessione di Ciccotti

Qualche anno fa andai per la prima volta allo stadio, da quasi anziano, ad assistere ad una partita si serie A. Con mia meraviglia scopersi adulti che gridavano brutte parole, volgari offese rivolte ai giocatori “avversari” e, ovviamente, all’arbitro. Che non era il “cornuto” delle barzellette. E i loro figli e figlie, le ripetevano con la stessa foga! Cambiava solo il tono della voce. Accanto al vocione del padre.

Mai avevo avuto la prova vera, oggettiva, che le parolacce e l’uso di inveire contro qualcuno, con odio, lo apprendessero anche dai loro genitori.

Realizzai anche come le brutte espressioni verso gli insegnanti erano state sdoganate a cena da quei genitori che, schizofrenicamente, chiamavano i loro figli, “amore”, 125 volte al giorno, da quando erano stati partoriti in ospedale. “T’ha messo 4? È proprio una s… / t… Ma hai visto come se veste!”.

Neanche mi capacitavo come “la mia bambina” o “il bambino”, dopo aver usufruito della educazione civica a scuola, del corretto insegnamento della lingua italiana, pagata con le nostre tasse, durante il mattino; dopo la frequenza del catechismo per la prima comunione e poi per la cresima, una volta a settimana (per alcuni; per altri le “riunioni”, con i genitori, secondo il proprio credo), poi allo stadio diventavano bambini diversi da quelli cresciuti con la ossessiva interiezione genitoriale, “amore”.

Lezioni in classe e in auditorium con forze di polizia, psicologi, educatori, magistrati, contro il bullismo e il rispetto dell’altro (dalla psicologia/pedagogia al diritto).

Ieri, vedendo Piazza Pulita, diretta con professionalità da Corrado Formigli, ho seguito un assaggio di buona televisione. Mi ha colpito positivamente, ancora una volta, la serenità, il misurare le parole, il prendersi il tempo necessario dagli avvenimenti prima di giudicarli, di Federico Rampini, alle domande del conduttore, sulle “mosse diplomatiche ed economiche” di Donald Trump (i dazi, la strana alleanza USA-Russia, il ruolo dell’Europa; lo stare “nel guado” della premier Giorgia Meloni, ecc). Gli interventi e gli scritti di Rampini sono, a mio avviso, apprezzabili perché non partono mai con il voler dimostrare “una tesi a priori”.

In studio vi era anche Massimo D’Alema che, pur non condividendo il giudizio “attendista” di Rampini nei riguardi delle mosse di queste ore di Trump, “con il tempo è [Rampini] più tollerante”, da grande statista, ha mantenuto un tono non ironico e piccante come usava talvolta in passato, da giovane: egli, entrato ora nella età della saggezza, sa che le offese (almeno in TV), seppur sottili, vanno evitate.

Andrea Scanzi, un giornalista che ammiro altrettanto, il suo italiano sorvegliato si apre a interessanti neologismi, ma talvolta egli non rispetta i passaggi diplomatici. Il “Cassese dice delle fesserie”, di ieri, rispondendo a Letizia Moratti, è stata una nota stonata.

La poteva evitare con il ricorso ad una parafrasi, e non gli mancano, del tipo, “Sabino Cassese, notevole studioso del diritto amministrativo, talvolta, nelle non inquadra il problema correttamente”.

Poi vi sono conduttori e conduttrici televisivi che usano la interruzione e il non rispetto del turno linguistico, quando l’ospite non è della “sua” parte politica. I docenti di sociolinguistica ricordano come nella conversazione il turno linguistico vada rispettato. Sempre all’università, prima dell’arrivo in Italia della sociolinguistica, l’ottimo Tullio De Mauro, negli anni Settanta, ci spiegava il ruolo della «democrazia linguistica», necessaria per evitare la censura e le dittature.

Talvolta, l’ottimo giornalista non è un buon moderatore. Conduttori e conduttrici sovente usano il linguaggio della mimica, il tono della voce, la battura ironica, il guizzo sarcastico dello sguardo, come attacco non troppo sottotraccia nei riguardi del politico/collega dall’opinione diversa.

Noi, genitori felici, lavoratori o “laureati, insegnanti ed educatori, magari specializzati in sostegno, assorbiamo felici questa finta gentile cattiveria, poiché la pensiamo come quel giornalista, di Rete Quattro o della 7. Poiché siamo tifosi di una parte politica o dell’altra. E nelle conversazioni, durante la nostra clessidra quotidiana, (sul posto di lavoro, al bar, nel tempo libero), replichiamo, moltiplichiamo come specchi, quelle letture, quelle frecciatine, quelle offese sottotraccia.

Se siamo docenti e adottiamo lo stesso “stile” di comunicazione, abbiamo gioco facile nell’orientare adolescenti che in quel passaggio della loro vita amano il nostro modo di insegnare, la nostra cultura, la nostra materia.

Offese, ironie velenose, neo-epiteti, accuse, e aggressioni più o meno esplicite, provengono talvolta anche dai banchi del Parlamento: è la guerra di tutti contro tutti. Sono rari i parlamentari che usano toni clami, educati, rispettosi, rinunciando alla battuta all’acido muriatico.

Quando facciamo il tifo per quel politico, per quel giornalista, per quell’intellettuale, poiché la sua battuta fulminante ci è piaciuta, convinti che la quella verità sposterà voti o percentuali di “intenzioni di voto”, ci illudiamo. La comunicazione nella sua rapida centrifuga, promuove la tua battuta, il tuo attacco, ma poi lo seppellisce sotto altri spezzoni linguistici Quel segno linguistico, appena usato, muore, direbbe Ludwig Wittegenstein. La tua arguta battuta che ti innalza nel giro di poche ore sulle vette dei talk show, sui quotidiani, rimbalzata sui social, grondante di like, sarà subito dimenticata, perché poi non usata. Avanti altre battute, altri veleni più o meno miscelati al miele.

Le percentuali delle intenzioni di voto non cambiano così rapidamente, sospinti dalle ironie, accuse, più o meno gentili. Necessitano di anni. Perché la nostra simpatia/antipatia riferita a quel politico o comunicatore, si inscrive, non dimentichiamolo, all’interno dell’elettorato attivo, ossia di quel circa 40% degli esercitanti il diritto di voto.

I cambiamenti di campo dell’elettorato (destra/sinistra o viceversa) sono lievi nei tempi brevi, come ci insegna ogni elezione. E quando sono notevoli, spesso durano una sola stagione politica (tsunami Renzi, tsunami Salvini, tsunami Cinque Stelle). Perché? Perché l’elettore medio, dal redito medio-basso, vede che i “ricchi stanno sempre bene e i poveri sono sempre poveri”: sia che governi la destra o la sinistra. E questa maggioranza silenziosa protesta con il non-voto.

Avere il 60% di non recantisi alle urne significa avere metà popolazione di delusi. Significa che tutti i politici hanno sbagliato. Dai sondaggi sappiamo che il cittadino è sensibile solo al costo della vita; alla sanità funzionante; al posto di lavoro. Eppure non va a votare.

Ora, l’attuale opposizione sta rimarcando, con toni forti, da due anni, che l’attuale governo ha abbandonato sia il cittadino medio che quello di fascia economica bassa, aumentando il numero dei poveri. Si sgonfierà lo tsunami Meloni? Secondo alcuni osservatori accadrà. Perché, statisticamente, è sufficiente una piccola percentuale dell’elettorato attivo per determinare una diversa maggioranza: spesso l’elettore incavolato, quello partiticamente mobile, cambia schieramento come cambia le proprie Sneakers.

Immaginiamo tra due anni un governo “di centro-sinistra”. Molto dovrà cambiare. Stavolta tutti se lo aspetterebbero! Sistema-salute efficiente; posto di lavoro per tutti; immigrazione regolata; tasse giuste.

L’elettore “povero” non vuole una deputata che ostenti il proprio lusso in Parlamento; ma neanche il regista di sinistra in Tv, con i jeans sdruciti, la t-shirt da bancarella, ma con super-villa milionaria all’Aventino.

Andiamo avanti con l’immaginazione. Siamo nel 2030-31. La nuova sinistra governa da tre anni. Non è stata posta in atto nessuna rivoluzione etica e democratica. Continua il lavoro al nero. Permangono stipendi di dirigenti pubblici da 400.000 euro a fronte di stipendi da 20.000 euro l’anno; la disoccupazione non è scesa al 5% come promesso; gli immigrati ora dormono nelle piazze insieme agli autoctoni senza lavoro; aumento della delinquenza; aggiungiamoci, una guerra alle porte di casa.

Ultimo flash-forward. Alle successive elezioni del periodo, diciamo, 2032-33, si recheranno alle urne il 25% degli elettori. È il centenario della salita al potere di Hitler. Il centro-destra è scomparso: la destra sta rivincendo in Europa dopo alcuni anni di governi “progressisti” che non hanno toccato la casta dei ricchi.

Ecco che in Italia la destra-destra vince con il 60%. Perché la Storia ci insegna che quando le crisi sono ormai ingovernabili il cittadino, per paura, vuole uno stato “forte”. Dimostrazioni di piazza. Riemerge, come in passato, aria da “guerra civile”, quella mai interrotta dal 1943.

Quale soluzione proporre sin da oggi? Innanzitutto, tornare ad usare un linguaggio, verbale e non-verbale, rispettoso dell’altro interlocutore. Dal campetto di periferia, passando per gli studi televisivi, alle aule parlamentari.

Umiltà da parte di chi è al governo: se l’opposizione, caro governo, ti propone delle soluzioni migliori, vanno accettate. Tu, opposizione, se il governo, su alcuni punti, lavora bene, riconoscilo, senza ironia e offese. Le offese quotidiane interessano solo il 40% degli elettori. Gli altri, la maggioranza, mi ripeto, stanca di questo teatrino, sta rinunciando alla vita della polis. Attenzione.

Siamo tutti meravigliosamente ipocriti se ci offendiamo ogni giorno in Parlamento, in tv, sui quotidiani, sui social, e, poi, preghiamo per la salute di papa Francesco. Film già visto: abbiamo pregato per papa Giovanni Paolo II, per papa Benedetto XVI. Abbiamo seguito i loro funerali. Eravamo dispiaciuti per le loro dipartite

Eravamo egoisti e superbi; lo siamo ancora. Poi, disperiamo se vi sono guerre in giro per il mondo. La Madonna a Medjugorje (per chi ci crede) ripete da anni: «Se non vi amate tra di voi, come potete evitare le guerre?».

Tutti si faccia un passo indietro nel nostro “avere la verità in tasca”; e uno in avanti per il rispetto dell’altro. O preferiamo aspettare un nuovo Covid per tornare tutti “buoni”, per 24 mesi?


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