La medicina di genere non è una specializzazione, ma un approccio che deve permeare ogni ambito della ricerca, della formazione e della pratica clinica. Il tema è stato al centro dell’evento “La scienza per la differenza”, promosso da Farmindustria. L’incontro ha fatto emergere le sfide ancora aperte: dalla necessità di un sistema formativo orientato sull’approccio genere-specifico all’attenzione ai bias nei dati su cui si basa l’intelligenza artificiale. Cattani (Farmindustria): “L’innovazione parte dalla tutela di un diritto”
La medicina di genere non è una specializzazione a sé, ma un approccio trasversale che deve permeare ogni ambito della ricerca, della formazione e della pratica clinica. È questo il messaggio emerso dall’incontro La scienza per la differenza. La via multidisciplinare alla medicina di genere, promosso da Farmindustria con il patrocinio del ministero per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità. Tenutosi oggi a Roma, il convegno ha riunito esperti, rappresentanti istituzionali e dell’industria farmaceutica per fare il punto sui progressi raggiunti e sulle sfide ancora aperte. Le differenze biologiche e socioculturali tra uomini e donne influiscono profondamente su diagnosi, terapie e percorsi di cura.
Oggi, grazie a un crescente impegno scientifico e politico, la prospettiva sta cambiando: la medicina di genere si impone come una necessità etica e clinica, a beneficio di tutti. “Assumere e consolidare una prospettiva di genere in sanità è indispensabile per contrastare disuguaglianze e garantire maggiore equità e appropriatezza dei percorsi di cura”, ha dichiarato Orazio Schillaci, ministro della Salute, aggiungendo che incontri come quello di oggi rappresentano “opportunità preziose di confronto e arricchimento per tutti”.
L’incontro, ha aggiunto Marcello Cattani, presidente di Farmindustria, ha “l’obiettivo di rafforzare la collaborazione virtuosa tra istituzioni, università, ricerca e industria”. Eugenia Roccella, ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità, ha ribadito come il concetto di neutralità in medicina sia stato un errore concettuale che ha penalizzato la salute delle donne. “Quanto detto in questi anni, in questi incontri si può riassumere in qualcosa che vale in tutti i campi. Il neutro non esiste, è stata una grande bugia”, ha affermato.
LA NUOVA PROPOSTA LEGISLATIVA
A livello legislativo, i passi avanti sono stati significativi, ma la strada da percorrere è ancora lunga. Ignazio Zullo, membro commissione Affari sociali del Senato e primo firmatario di una nuova proposta di legge sulla medicina di genere, ha ricordato che la legge 3/2018, voluta dall’allora ministra Beatrice Lorenzin, è rimasta in larga parte inapplicata. “Siamo partiti dalla 3/2018 che è rimasta come legge di belle intenzioni. Abbiamo sviluppato questa proposta di legge per diffondere la cultura della medicina di genere e arrivare alla medicina delle differenze”, ha spiegato. Francesco Zaffini, presidente della commissione Affari sociali del Senato, ha confermato l’impegno a dare seguito concreto a questo lavoro: “Si tratta di una consapevolezza che mancava nell’individuazione di percorsi specifici e personalizzati. Appena possibile calendarizzeremo il testo Zullo-Zaffini e partiremo con le audizioni. Il mio progetto è chiudere entro l’estate il percorso in commissione”.
PERCHÉ PARLARE ANCORA DI MEDICINA DI GENERE
“Possiamo definire la medicina di genere come un approccio che interessa tutti i campi della scienza medica. Il diritto alla cura è un diritto di tutte le persone. Noi abbiamo studiato un organismo neutro, non è così però. Abbiamo una biologia diversa, una fisiologia diversa e una realtà socio-economica diversa”, ha evidenziato Alessandro Nanni Costa, componente del Comitato nazionale per la bioetica, sottolineando come sia necessario superare un modello obsoleto. A ribadire il concetto è intervenuta Giovannella Baggio, presidente del Centro studi nazionale su salute e medicina di genere, secondo cui il rischio è che sembri “una specializzazione a parte, ma è un approccio trasversale”. Marina Terragni, titolare dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, che ha sottolineato: “La medicina personalizzata non può prescindere da questo approccio. Vale la pena notare che il 9% delle donne contro il 6,2% degli uomini ha rinunciato alle cure nel 2023, una dimensione abnegativa della donna sulla quale bisognerebbe ragionare”.
ATTENZIONE ALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
L’uso crescente dell’IA in ambito sanitario rappresenta un’opportunità straordinaria, ma rischia di perpetuare le stesse disparità che la medicina di genere cerca di correggere. La qualità dei dati utilizzati per addestrare gli algoritmi è cruciale: se questi derivano da studi storicamente sbilanciati a favore del sesso maschile, i risultati delle analisi e delle diagnosi rischiano di essere altrettanto distorti. Lo ha detto a chiare lettere Francesca Merzagora, presidente della Fondazione Onda, che ha messo in guardia contro il rischio di un eccessivo affidamento alla tecnologia a discapito del rapporto medico-paziente: “Abbiamo visto come sia importante che l’intelligenza umana non venga eliminata. Storicamente, laddove la tecnologia si è applicata alla medicina, si è verificato un allontanamento fra medico e paziente”. Dello stesso avviso Baggio, che ha lanciato un monito su una delle principali criticità della digitalizzazione dei processi clinici: “L’Intelligenza Artificiale poggia su dati sbilanciati, poiché su tutte le sperimentazioni storiche la rappresentanza femminile è bassa”. La necessità di migliorare la qualità e la rappresentatività dei dati è stata ribadita anche da Marcello Lanari, professore di Pediatria presso l’Università di Bologna: “Va nutrita con molti dati, ma questi dati devono essere puliti. In pediatria la stiamo cominciando ad usare soprattutto per l’imaging”.
LA FORMAZIONE IN MEDICINA DI GENERE
Un passo importante verso l’integrazione della medicina di genere nel Servizio Sanitario Nazionale è stato compiuto con l’approvazione del Piano Formativo Nazionale, firmato nel 2023 dal Ministro della Salute e dal Ministro dell’Università e della Ricerca, Annamaria Bernini. Questo documento rappresenta una svolta per la formazione medica, ponendo le basi per una maggiore consapevolezza delle differenze di genere in ambito sanitario. Il piano ha ricevuto a fine anno il parere del Comitato nazionale per la bioetica (Cnb), che ne ha riconosciuto il valore strategico.
Nanni Costa ha ribadito la necessità di un’integrazione capillare della medicina di genere nella formazione: “È fatto molto bene, è dettagliato. Il parere del Cnb vede alcuni punti importanti: una multidisciplinarietà, una trasversalità della formazione. Non esiste la possibilità che esista una specializzazione in medicina di genere. La medicina di genere deve entrare in ogni specializzazione, deve far parte della formazione medica e deve cominciare durante il corso universitario e continuare in tutte le specializzazioni”. “Bisogna fare in modo che tutte le specialità siano declinate sul genere. Università, regioni e tutti quelli che si occupano di formazione medica non possono esimersi dal considerare le differenze di genere a tutte le età. È ora”, ha fatto eco la presidente del Centro studi, Baggio.
L’IMPEGNO DELL’INDUSTRIA FARMACEUTICA
“Siamo un’industria consapevole delle nostre responsabilità. Il nostro intento è sempre stato quello di andare oltre il perimetro specifico delle nostre competenze”, ha sancito Enrica Giorgetti, direttore generale di Farmindustria. “Il nostro pensiero è che l’innovazione parte dalla tutela di un diritto”, ha aggiunto Cattani. “Il settore, primo per competitività e produttività – ci tiene a precisare – ha una visione e una strategia.” Questa visione non si limita solo al progresso scientifico – sono infatti 1200 i farmaci attualmente in sviluppo clinico a livello globale per le donne – ma l’impegno si estende alle riconoscimento che, anche a livello lavorativo, il “contributo della donna sia essenziale per arrivare a questi risultati”.
“Siamo felici del dato che nuovamente testimonia l’impegno delle aziende nell’essere inclusive”, ha affermato poi il presidente di Farmindustria. Attualmente, infatti, il 71% delle aziende farmaceutiche ha acquisito la certificazione per la parità di genere, mentre un ulteriore 22% sta ottenendo la certificazione o ha avviato l’iter per ottenerla. “La certificazione della parità di genere, che è un obiettivo del Pnrr, sta andando molto bene. Abbiamo certificato quasi 7mila aziende oggi. Questo testimonia una diversa maturazione del mondo del lavoro e delle aziende, a cui questi incontri hanno dato un contributo”, ha dichiarato Roccella.