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Sostenibilità e conti in ordine. La linea italiana sul riarmo

I Paesi del Nord Europa come Svezia, Austria, Olanda, tradizionalmente contrari all’aumento delle spese, si sono mostrati diffidenti nei confronti della proposta tedesca di investire di più. Ma proprio in virtù della mossa italiana potrebbero decidere di stemperare le proprie posizioni

Riarmarsi sì, ma con un modus sostenibile che non impatti negativamente sulla reputazione di chi sta provando a far quadrare i conti. Non c’è solo la geopolitica a determinare le scelte relative al ReArm Ue, ma evidentemente anche l’economia e i delicati equilibri legati a bilanci, debiti e numeri. Un passaggio che Giorgia Meloni ha messo in luce, prima di altri, e che è stato felicemente recepito dal Consiglio europeo di ieri non fosse altro perché quello che Friedrich Merz, mutuando una espressione già usata, ha definito “bazooka” affinché non sia una misura-zavorra per Paesi con un elevato debito pubblico (c’è anche la Francia, assieme all’Italia nella lista) deve poggiare su solide basi programmatiche, per due ragioni: impattare in maniera sana sui conti (quindi non sommando debito ad altro debito) e al contempo offrire una prospettiva anche di immagine ai Paesi frugali che osservano con attenzione l’intero quadro.

Una vittoria italiana

Il premier lo aveva sottolineato già da tempo che il passaggio principale verteva sulle regole e sulla sostenibilità complessiva della misura. Per cui l’esclusione delle spese di difesa dal calcolo del rapporto deficit/Pil apparentemente è una proposta tedesca (arrivando anche a una revisione organica del Patto di stabilità) ma nei fatti è un rilievo da tempo già avanzato dall’Italia che chiede di non fermarsi alle materie della difesa, ma comprendere anche altri beni pubblici europei a partire dalla competitività.

Inoltre il presidente del Consiglio ha ribadito, in coordinamento con diversi altri Stati membri, che sarà imprescindibile impedire uno spostamento delle risorse di coesione verso il riarmo, nella consapevolezza che i fondi di coesione dovrebbero rimanere ancorati agli obiettivi previsti. “L’Italia – precisano fonti italiane – ha fatto passare la volontarietà sull’utilizzo dei fondi di coesione perché non si oppone al fatto che Stati che stanno al confine con la Russia possano considerare quella una loro priorità, ma sicuramente il governo italiano non intende dirottare fondi di coesione sull’acquisto di armi”. Inoltre il riarmo secondo Palazzo Chigi deve interconnettersi ad altre azioni altrettanto strategiche, come cybersicurezza, infrastrutture, ricerca e sviluppo.

Il meccanismo delle risorse

Al contempo, grande attenzione secondo Roma va posta sul discorso relativo al meccanismo da applicare alle risorse: l’interezza dei fondi previsti deve essere destinata a spese ammissibili al calcolo delle spese di difesa in ambito dell’alleanza atlantica. Alla luce di ciò, ecco che l’iniziativa complessiva ha una sua ratio solo se accompagnata dalla strutturazione di un meccanismo quasi automatico di riconoscimento delle risorse investite dagli Stati membri nei programmi di difesa europei anche in ambito Nato. In questo senso il governo avanzerà una proposta perché Commissione e Seae adottino un meccanismo di rendicontazione obiettivo, omogeneo e trasparente di questo tipo di spese, sulla base di un principio tanto semplice quanto fondamentale: ogni euro in più investito nella difesa europea deve contare ed essere contabilizzato in ambito Nato.

Qui Bruxelles

“Nelle proposte di Ursula von der Leyen sicuramente abbiamo salutato positivamente il fatto che sia stata accolta una proposta che l’Italia faceva da tempo e cioè di scomputare le spese di difesa dal calcolo del rapporto deficit/pil – ha osservato Giorgia Meloni – dopodiché la presidente von der Leyen individua anche ulteriori possibilità di accedere a prestiti per 150 miliardi di euro, che è una ulteriore possibilità anche se, tra le criticità che l’Italia ha segnalato c’è quella per cui la gran parte di queste risorse sono risorse che in qualche maniera hanno a che fare con il debito”.

L’immagine e la reputazione

Il problema è stato definito da fonti italiane “reputazionale o di sostenibilità”. La posizione italiana si basa sulla certezza che non è sufficiente programmare nuovi strumenti che siano foraggiati dall’aumento del debito nazionale. Per questa ragione l’Italia ha proposto di discutere in particolare della possibilità di una garanzia europea per gli investimenti nel settore della difesa, sul modello di InvestEu, anche con l’obiettivo di massimizzare l’impiego di fondi privati in aggiunta a quelli pubblici. Ha assicurato Giorgia Meloni che a breve il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti farà una proposta all’Ecofin.

Si tratta di una mossa che tra le altre cose coglie il nesso ribadito dai cosiddetti Paesi frugali, che notoriamente sono contrari a nuove forme di debito, a maggior ragione dopo il Recovery Plan adottato in occasione della pandemia. Va ricordato che i Paesi del Nord Europa come Svezia, Austria, Olanda, tradizionalmente contrari all’aumento delle spese, si sono mostrati diffidenti nei confronti della proposta tedesca di investire di più, ma proprio in virtù della mossa italiana potrebbero decidere di stemperare le proprie posizioni.


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