Secondo i primi riscontri, alcuni lobbisti legati a Huawei avrebbero offerto viaggi in Cina, regali costosi e denaro in cambio di sostegno politico all’interno delle istituzioni Ue, in particolare dal 2021 in avanti. Le attività sarebbero avvenute in modo “discreto e regolare”, formalmente presentate come iniziative di lobbying, ma nei fatti riconducibili a un tentativo di influenzare le politiche europee in settori strategici
“Huawei prende sul serio queste accuse e comunicherà urgentemente con l’indagine per comprendere meglio la situazione”, dice l’azienda cinese in un comunicato in cui spiega di avere “una politica di tolleranza zero nei confronti della corruzione o di altri illeciti e ci impegniamo a rispettare tutte le leggi e i regolamenti applicabili in ogni momento”.
La ragione del comunicato è questa: le autorità belghe hanno aperto un’indagine su un caso di presunta corruzione che coinvolge parlamentari, ex parlamentari e funzionari del Parlamento europeo, in connessione con la società cinese Huawei. Giovedì, la polizia federale ha perquisito 21 edifici in Belgio e Portogallo – tra cui la sede di Huawei a Bruxelles e due uffici parlamentari – sequestrando documenti e interrogando più persone. Secondo quanto riportato da Le Soir, Knack e Follow the Money, l’inchiesta riguarderebbe almeno quindici eurodeputati attivi o già in carica. Le accuse preliminari includono corruzione, falso e riciclaggio di denaro.
Secondo i primi riscontri, alcuni lobbisti legati a Huawei avrebbero offerto viaggi in Cina, regali costosi e denaro in cambio di sostegno politico all’interno delle istituzioni Ue, in particolare dal 2021 in avanti. Le attività sarebbero avvenute in modo “discreto e regolare”, formalmente presentate come iniziative di lobbying, ma nei fatti riconducibili a un tentativo di influenzare le politiche europee in settori strategici.
Lobbismo o interferenza? Il precedente del Qatargate e la riforma incompiuta
Il caso, già soprannominato “Huawei-gate”, è stato subito associato a una circostanza analoga, il “Qatar-gate”, lo scandalo scoppiato nel 2022 che mise in luce le vulnerabilità del Parlamento europeo rispetto a pressioni esterne. Proprio sulla scia di quella vicenda, nel gennaio 2023 la presidente dell’Eurocamera, Roberta Metsola – poi riconfermata nel 2024 – propose un piano in 14 punti per rafforzare le regole su trasparenza e lobbying. Il piano è stato approvato a settembre 2023, ma la sua implementazione resta parziale. In particolare, l’organo interistituzionale indipendente incaricato di supervisionare il rispetto degli standard etici non è ancora pienamente operativo, ostacolato da alcune componenti politiche europee.
Questa lentezza nell’attuare le riforme alimenta dubbi sulla reale efficacia dei meccanismi di autodifesa dell’Ue — dubbi che Formiche.net solleva da almeno quattro anni. In ambienti parlamentari si parla apertamente di “élite capture”, una forma di interferenza straniera che mira a cooptare élite politiche e tecniche. È un modello già adottato dalla Russia attraverso attori come Gazprom, e che, se i fatti dovessero essere verificati dalle indagini, ora potrebbe essere stato emulato dalla Cina sebbene Huwaei non sia statale come Gazprom, e protegge formalmente la sua terzietà rispetto al governo cinese, nonostante alcuni discussi collegamenti con Pechino.
Il momento del 5G e la pressione strategica cinese
Lo scandalo esplode in un momento tecnologicamente decisivo: la transizione europea verso il 5G standalone, la versione autonoma e avanzata della nuova rete mobile. Finora la maggior parte delle infrastrutture 5G in Europa ha operato in modalità “non-standalone”, appoggiandosi su componenti legacy del 4G. Ma con il passaggio allo standalone – che si prevede imminente – la rete diventerà più potente, più sensibile e anche più vulnerabile.
Ed è qui che si annida il problema. Secondo un’analisi di Formiche.net, attori cinesi delle telecomunicazioni rappresentano ancora una quota significativa della rete europea, soprattutto nella componente radio, dove la distinzione rispetto al “core” della rete diventa sempre meno netta. In Italia, ad esempio, nel 2024 i fornitori cinesi coprivano circa il 35% della radio network 5G, quota destinata a scendere solo lentamente nei prossimi anni. In città chiave come Roma e Milano, oltre metà della rete è composta da componenti di origine cinese.
La Commissione europea ha introdotto una “5G Toolbox” con raccomandazioni di sicurezza, ma lo strumento non è vincolante e la sua applicazione è disomogenea. La Corte dei Conti europea ha per esempio già raccomandato di trasformarla in legge, mentre la commissaria designata al digitale, Henna Virkunnen, ha dichiarato che “gli Stati membri non hanno preso il problema abbastanza sul serio”. Si tratta di “gravi vulnerabilità” serve agire “il prima possibile”, aveva invece detto Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno, in una conferenza stampa già a giugno 2023.
In questo contesto, se il passaggio al 5G standalone avverrà senza un rafforzamento delle misure comuni di sicurezza, le reti europee rischiano di diventare strutturalmente vulnerabili, con aziende di Paesi rivali già integrata nei sistemi. Per questo, secondo diversi analisti, il vero banco di prova della risposta europea allo “Huawei-gate” sarà non solo etico o giudiziario, ma politico e normativo. Mentre il tempo per agire si sta esaurendo, evidentemente qualcuno si era portato avanti?