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A destra tutto in ordine? No, ma lo schema Meloni vs Schlein non regge più. Arditti spiega perché

Guardare alla prospettiva internazionale ci aiuta a capire perché lo schema di “sintesi” della dialettica italiana sull’asse premier-segretaria del Pd funziona meno di un anno fa. Oggi le opposizioni camminano in ordine sparso e non è certamente il Nazareno a dare la linea. Questo ci permette di dire che a destra è tutto in ordine? Certo che no…

Perché a sinistra è successo il finimondo dopo il voto a Strasburgo sul “piano von der Leyen”, mentre a destra (dove la divergenza di visione non è meno evidente) la situazione appare più gestibile?

E ancora: cosa succederà adesso nella dinamica Meloni-Schlein, che per un certo tempo è parsa capace di polarizzare il dibattito politico nazionale?

Proviamo a rispondere a queste due domande senza cedere al chiacchiericcio politico, che pure prende spazio in queste ore dall’una e dall’altra parte (a sinistra si parla di una Schlein furibonda che si prepara alla vendetta, a destra c’è chi scrive di toni agitati tra Fratelli d’Italia e Lega, con tanto di “litigio” tra premier e ministro dell’Economia).

A sinistra la situazione è più delicata per due motivi precisi, circostanziati ed evidenti, sui quali c’è poco spazio alle opinioni.

Il primo è che la frattura il Pd l’ha vissuta in casa, peraltro con un imbarazzante risvolto “numerico”, cioè quel 10 a 11 nella divisione tra voti favorevoli alla risoluzione e astenuti. Si tratta infatti del primo atto politico significativo di opposizione interna alla linea della segretaria, reso peraltro plastico dalla presenza nel gruppo che non ha seguito le indicazioni del Nazareno di Stefano Bonaccini (ricordiamoci che è proprio l’allora presidente dell’Emilia Romagna a battere Schlein nella corsa alla segreteria nel voto dei delegati, salvo poi perdere nei gazebo).

Insomma, si può quindi dire con cognizione di causa che, dopo questa settimana, Elly Schlein ha un nutrito gruppo di oppositori che intende rendere visibile anche esternamente il proprio dissenso.

Poi c’è un tema “fuori” dal Pd, legato al fatto che operano nella politica italiana due ex premier (cioè Giuseppe Conte e Matteo Renzi) che hanno passato anni a Palazzo Chigi con tutte le ricadute del caso, a cominciare da rapporti internazionali di un certo peso.

E questo conta assai, basti pensare alle riflessioni di queste ore del leader del M5S, tutt’altro che disponibile a collocarsi in scia alla Schlein quando si ragiona di rapporti con gli Usa o con la Russia.

Guardare alla prospettiva internazionale ci aiuta anche a capire perché lo schema di “sintesi” della dialettica italiana sull’asse premier-segretaria del Pd funziona meno di un anno fa: infatti oggi le opposizioni camminano in ordine sparso e non è certamente il Nazareno a dare la linea (anzi, tanto AVS quanto M5S cercano quotidianamente di prendere le distanze).

Questo ci permette di dire che a destra è tutto in ordine?

Certo che no, perché la premier può tollerare una certa quota di “distinguo” da parte della Lega, ma non può accettare gesti eclatanti, perché a quel punto è il governo tutto a pagare un prezzo (da qui le frizioni che da qualche giorno finiscono sui giornali: quando accade significa che qualcuno vuole farlo sapere).

Però, cercando una sintesi finale, una cosa possiamo dirla: oggi come oggi il problema è di Schlein, per Meloni tutt’al più c’è bisogno di un maalox.


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