Per il senatore Giulio Terzi “l’obiettivo di Pechino è dominare le catene di approvvigionamento e condizionare le nostre scelte politiche”. Dalla strategia ibrida cinese alle contromisure Ue: riflessioni sulle ingerenze sistemiche
Huawei è al centro di una nuova inchiesta per corruzione al Parlamento europeo. Quasi tutti gli arrestati dalle autorità belghe sono lobbisti legati proprio alla società cinese, sospettati di aver corrotto diversi europarlamentari per favorire gli interessi dell’azienda nell’Unione. Un caso che solleva interrogativi sulle vulnerabilità tecniche e politiche dell’UE. Ne abbiamo parlato con il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, ex ministro degli Esteri e presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea del Senato.
La Cina abbia conquistato una posizione dominante nelle nostre economie? Come ci è riuscita?
Andando con ordine: la Repubblica popolare cinese in trent’anni di globalizzazione è riuscita a rendersi indispensabile alle nostre economie. L’obiettivo, se si guarda al come tutto ciò è accaduto, era fin da subito evidente: dominare le catene di approvvigionamento e condizionare le nostre scelte industriali ma anche politiche. Perché in Cina le aziende, è cosa nota, subiscono un illimitato controllo da parte delle autorità statali.
Nessun’ossessione da Guerra Fredda, ma in Cina vi è una legge che obbliga le imprese a fornire dietro richiesta i loro dati. Qui sta il problema?
Questa collaborazione forzata con lo Stato (che poi, di fatto, combacia con il Partito comunista cinese e i suoi organi) include migliaia e migliaia di aziende che operano ovunque, in Occidente, in Europa, in Italia. L’esempio di TikTok, piattaforma cinese che cittadini di tutto il mondo usano ma che in Cina è vietata, è emblematico: dimostra pienamente come sia uno strumento ad hoc per gli altri (noi) sviluppato con fini di influenza e spionaggio. Huawei non è escluso da tutto questo, anzi, fin dalla sua nascita nel 1987, è chiara la sua impronta aziendale: è stata fondata da un ex ufficiale dell’Esercito Popolare di Liberazione.
E dunque Huawei è parte di un più ampio progetto strategico cinese.? In che modo si inserisce nei piani di Pechino?
Come gli altri colossi della Repubblica popolare, Huawei è situata nella Greater Bay Area di Guangdong-Hong Kong-Macao, area che molti considerano come la Silicon Valley cinese che entro il 2035 dovrebbe diventare, secondo i piani di Pechino, il baricentro dell’innovazione mondiale. Rientra a pieno nella ben nota Belt and Road Initiative ed è indubbiamente parte del disegno del Partito comunista cinese che mira a raggiungere il primato mondiale tecnologico. Qui non solo la cooperazione azienda-Stato è evidente ma lo è anche la fusione civile-militare, è scritta nero su bianco nel Development Plan.
Però Huawei si è inserito nei nostri mercati sbaragliando la concorrenza con i suoi prezzi bassi e la sua ampia disponibilità di prodotti?
Questo perché la Cina, con i suoi ingenti aiuti e sussidi di Stato alle aziende, genera un vero e proprio effetto dumping a livello internazionale. Se si aggiunge poi l’eccesso di produzione, volutamente cercato, delle imprese cinesi si completa il quadro. Il risultato sono enormi squilibri e forti tensioni nelle relazioni commerciali con gli altri Paesi. L’Ue ha finalmente assunto, meglio tardi che mai, una pienamente consapevolezza di tali meccanismi. Nel Rapporto Draghi, i rischi di questa ascesa della Cina nei nostri sistemi economici sono ampiamente evidenziati.
Nel 2025 anche l’intelligence italiana ha confermato le sue preoccupazioni sulla Cina. Cosa significa quanto accade per l’Italia?
La vicenda Huawei è una ulteriore conferma di quanto emerso nella Relazione annuale 2025 del DIS, in cui ricordiamo che si scrive “la Cina ha perseguito nel 2024 una strategia ibrida complessa e sfaccettata, combinando attività multi-vettoriali in diversi domini (prevalentemente economico, diplomatico, cyber e dell’informazione) a sostegno dei propri interessi strategici”. Ma lo fa da anni, e anche in modo subdolo, pensiamo al fatto che Huawei donò dispositivi mobili, mascherine e tute protettive agli ospedali italiani per “aiutarli” a fronteggiare la pandemia Covid-19. Un gesto di solidarietà o, forse, anche una mossa strategica di Pechino per penetrare maggiormente nei nostri sistemi?
La Commissione che lei presiede si sta occupando proprio di ingerenze straniere. Cosa sta emergendo?
La 4a Commissione Politiche dell’Unione europea del Senato ha un affare assegnato, “Le ingerenze straniere nei processi democratici degli Stati membri dell’UE e nei Paesi candidati”. Si stanno svolgendo audizioni di esperti in materia. È una questione cruciale perché l’interferenza, l’influenza attraverso diversi mezzi, non dimentichiamoci mai l’arma della disinformazione, sono un pericolo per le nostre democrazie, per il processo democratico ed elettorale dei nostri Paesi. Pechino purtroppo nei confronti dell’Occidente usa tali metodi, su più piani, da quello culturale con gli Istituti Confucio a quello economico con il comportamento aggressivo di dumping, il controllo di materie prime fondamentali e dei dati.
L’Ue ha avviato iniziative per proteggere le democrazie dalle ingerenze. È sufficiente?
Ingerenze e influenze sono un tema molto difficile. Va sottolineata l’importanza dei passi in avanti finora compiuti dall’Unione europea sul fronte della responsabilizzazione degli attori coinvolti, dal Digital Market Act al Digital Services Act passando per iniziative come EU vs Disinformation e European Democracy Shield. È ora sempre più necessario metterle in atto, intercettare e fare prevenzione, a tutti i livelli.