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Una lunga stagione di tregua impone all’Italia la responsabilità della difesa

Nel contesto attuale, l’Italia deve diventare un vantaggio per gli Stati Uniti e i suoi alleati, non un peso. Per questo forse è necessario costruire un nuovo senso di unità nazionale. Il commento di Francesco Sisci

Siamo a pochi giorni dall’annuncio di una proposta per un tanto atteso cessate il fuoco in Ucraina; due mesi fa è stata raggiunta una tregua a Gaza. Da allora alcuni ostaggi israeliani catturati nel massacro del 7 ottobre sono stati scambiati con prigionieri di Hamas. Ad aprile, il presidente americano Donald Trump potrebbe volare in Cina per un vertice con il leader cinese Xi Jinping. In sintonia con la stagione, potremmo affermare che la primavera è sbocciata, e, dopo tre anni di sangue e crescenti tensioni, dovremmo aspettarci la pace.

Ma nulla sarebbe più ingannevole. L’Europa ha lanciato un piano di riarmo senza precedenti, di quasi 1 trilione di euro. Dovrebbe trasformare le forze armate europee in una vera macchina bellica. È prevista una cooperazione più stretta tra Unione europea, Regno Unito e Turchia all’interno della Nato. La Russia sta spendendo più del 10% del suo prodotto interno lordo per l’esercito e si è reindustrializzato per un conflitto di lungo termine. In Cina, ufficiali dell’Esercito popolare di liberazione hanno chiesto un aumento del bilancio. In Asia, Giappone, Corea, Vietnam e India stanno investendo di più nelle forze armate. In America, il governo sta riducendo ogni spesa tranne quella del Pentagono.

Un auspicato accordo tra Stati Uniti e Cina dovrebbe non risolvere le questioni cruciali della piena liberalizzazione del mercato interno cinese e la piena convertibilità del renminbi. Tensioni di confine poi continuerebbero. Sarebbe una tregua, non una pace. Sarebbe meglio di uno scontro e può durare, ma esige costante e forse crescente attenzione e allarme dalle parti.

Non stiamo assistendo all’inizio di una stagione di pace, ma al principio di un lungo periodo di attesa di guerra, sperando che rimanga fredda. Se la storia ci insegna qualcosa, esso potrebbe essere molto lungo. La precedente Guerra Fredda si è protratta per oltre mezzo secolo.

Certamente, le guerre fredde sono migliori di quelle calde, ma la precedente Guerra Fredda ci dice che il freddo può diventare caldo in un batter d’occhio. I nostri Paesi, quindi, devono prepararsi a una vita al limite, di una Guerra Fredda che potrebbe diventare improvvisamente calda. Sarà una guerra fredda diversa dalla prima come la Prima guerra mondiale, combattuta con cannoni e trincee, fu diversa dalla seconda, fatta di attacchi aerei e battaglie di carri armati. Ma in mancanza di altri termini, usiamo i vecchi.

Si spera che la situazione a Gaza si stabilizzi, ma il profilo di questa stabilizzazione è ancora incerto mentre la Siria rimane volatile e l’Iran è tutt’altro che tranquillo.

Forse potremmo essere più fiduciosi sulla tregua in Ucraina. Potrebbe durare più a lungo che in Medio Oriente. Dopotutto, un cessate il fuoco nella Penisola Coreana è sopravvissuto per oltre 70 anni. Possiamo sperare che la Cina, gli Stati Uniti e i loro vicini troveranno un compromesso. Ma la realtà probabile è che dovremo convivere con la possibilità di uno scoppio improvviso di tensioni che continuano a moltiplicarsi.

Il mondo è troppo complesso da affrontare da soli per l’Italia o l’Unione europea. Il sostegno americano all’Europa e agli alleati rimane essenziale a un secolo dal suo primo intervento nella Prima guerra mondiale. Eppure, l’Europa deve essere in grado di sostenere le proprie responsabilità e rappresentare il proprio punto di vista con tutti i suoi alleati, come il Giappone, per esempio. Per l’Europa, oltre alle facili chiacchiere, c’è solo un modello: quello israeliano.

Significa che il nostro modo di vivere deve cambiare, che i dividendi della pace devono essere ridistribuiti. Le spese sociali, i piccoli e grandi privilegi devono lasciare il posto a un sistema economico più efficace e competitivo, che solo può sostenere lo sforzo di riarmo in corso.

È una sfida enorme per i paesi europei e per l’Italia. Ci siamo abituati a disprezzare la guerra, pensando che non ci avrebbe riguardato più. Stiamo affrontando non solo una trasformazione economica, ma una rivoluzione culturale. Se il nostro obiettivo è evitare o minimizzare i pericoli di un conflitto, dobbiamo essere seri nel pensare, mentalmente e socialmente, alla possibilità di una guerra.

Nel nostro futuro, la guerra non può essere un incidente a cui ci troviamo impreparati, come è accaduto con l’invasione russa dell’Ucraina o l’attacco di Hamas a Israele. Deve purtroppo diventare un’eventualità che siamo pronti ad affrontare.

È la fine di un momento unico nella storia europea. Per tutto il suo passato, il continente è stato forse il più bellicoso al mondo. Eppure, gli ultimi 80 anni di pace ci hanno fatto dimenticare che eravamo fatti di guerra, non di pace.

Oggi, il tempo di guerra/pace che si prospetta sarà diverso da qualsiasi altro periodo. A parte i bombardamenti distruttivi, la nuova guerra sarà ibrida, fatta di attacchi informatici, spionaggio, operazioni di influenza, disinformazione, furti tecnologici, infiltrazioni, perturbazioni finanziarie e possibili attacchi terroristici.

Durante la Guerra Fredda, l’Italia era già stato il campo di battaglia di quella che ora potremmo definire guerra ibrida, con terroristi, sponsorizzati o sostenuti da nemici, che cercavano di destabilizzare la democrazia italiana. Essa sopravvisse.

Questa volta, l’Italia potrebbe essere più debole rispetto a 30 o 40 anni fa e più esposta alle minacce. La destabilizzazione dell’Italia potrebbe significare il sovvertimento dell’Unione europea, un colpo alla Nato e all’intero sistema di alleanze degli Stati Uniti. La fragilità dell’Italia deve essere affrontata seriamente. L’Italia deve diventare un vantaggio per gli Stati Uniti e i suoi alleati, non un peso. Per questo forse è necessario costruire un nuovo senso di unità nazionale.

Qui lo sforzo di Luigi Zanda, ex presidente del Partito democratico è fondamentale. I suoi recenti richiami a un atteggiamento responsabile sono saggi e vitali per il partito e per il paese. Invece, l’atteggiamento di Elly Schlein, segretaria del Partito democratico, è… (l’aggettivo è alla sensibilità del lettore). Il suo comportamento, certo, è motivato anche dal calcolo: spendere per la difesa spaventa l’elettorato e mantenere i voti è necessario. C’è forse però altro.

Oltre il 50% degli italiani non va a votare perché non si fida dei partiti. La questione della difesa non è un rischio che si può affrontare mettendo la testa sotto la sabbia, gli elettori non sono stupidi.

Gli Italiani forse devono essere messi davanti a una scelta responsabile come fu nel 1948: vogliono accettare il rischio di diventare una specie di Bielorussia del Mediterraneo o mantenere la vita che hanno avuto per gli ultimi 80 anni, seppure in condizioni diverse?

La scelta romperebbe le ambiguità del Partito democratico ma anche quelle di Lega e Movimento 5 Stelle e darebbe un percorso più chiaro al Paese.


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