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Senza gli Usa l’Europa è indifesa. I suggerimenti di Polyakova (Cepa)

Mentre gli Stati Uniti perseguono una politica estera sempre più indipendente dagli alleati storici, l’Europa si trova a un bivio: investire sulla propria autonomia strategica o continuare a dipendere dalla protezione americana. La guerra in Ucraina ha accelerato questa riflessione, ma le capacità militari europee restano limitate. E in un momento di simile instabilità, le ritorsioni europee sulle aziende tech Usa non aiutano. L’opinione della presidente del Center for European Policy Analysis Alina Polyakova

Sin dal suo insediamento alla Casa Bianca, il presidente statunitense Donald Trump ha implementato un netto cambio di rotta nella politica estera del Paese da lui guidato. Questo cambio di rotta è pienamente visibile nella sua gestione del conflitto in Ucraina, dove ha adottato un approccio estremamente favorevole nei confronti di Mosca, seguendo invece una linea più aspra tanto con Kyiv quanto con gli alleati europei. Con questi ultimi si prospetta all’orizzonte anche una guerra dei dazi, che potrebbe esacerbare ulteriormente le distanza che si stanno creando. Non è dunque un caso se, durante le ultime settimane, l’Europa ha manifestato una sempre più forte volontà di raggiungere una propria autonomia strategica nella dimensione militare. Formiche.net si è rivolta ad Alina Polyakova, presidente del Center for European Policy Analysis, per analizzare in profondità le dinamiche che stanno prendendo forma davanti ai nostri occhi.

Come legge l’approccio degli Stati Uniti ai negoziati in corso con la Russia sul conflitto ucraino?

Ci sono molte contraddizioni nel modo in cui la Casa Bianca sta portando avanti i negoziati sulla guerra in Ucraina, soprattutto rispetto a quello che il presidente Trump ha detto essere gli interessi generali di Washington. Ad esempio, gli Stati Uniti stanno portando avanti questo sforzo diplomatico per ottenere un cessate il fuoco in Ucraina, che in linea di principio è una cosa bellissima. Ma il modo in cui sta venendo portando avanti indebolisce direttamente la posizione degli Stati Uniti in questi negoziati, ma anche a livello globale perché, parallelamente ai negoziati, stiamo anche apportando alcuni profondi cambiamenti nel modo in cui gli Stati Uniti si impegnano con gli alleati europei. L’Europa non è stata invitata a partecipare a questi negoziati in alcun modo; eppure, il modo in cui la guerra verrà risolta, se verrà risolta, avrà profonde conseguenze per gli alleati europei della Nato. Eppure non è stato incluso il loro punto di vista. Washington sta minando le sue alleanze, e sta anche minando la sua capacità di negoziare o perseguire una competizione con altri Paesi che gli Stati Uniti hanno chiaramente dichiarato essere, se non avversari, certamente concorrenti chiave.

Il riferimento è, come si può facilmente presumere, a Pechino?

Sì, la Cina è quella dominante. È evidente che tutto ciò che sta accadendo nei negoziati con i russi e il modo in cui gli Stati Uniti stanno rinunciando a molta della nostra influenza sono osservati molto, molto da vicino a Pechino, che sta prendendo appunti e si sta facendo un’idea su come gli Stati Uniti perseguiranno, in futuro, qualsiasi tipo di impegno con la Cina o con qualsiasi altro Paese. In questo momento, il segnale che gli Stati Uniti stanno inviando è un segnale di profonda debolezza, che minerà gli interessi degli Usa nel mondo per molti anni a venire.

Pe quanto riguarda il momento difficile delle relazioni transatlantiche cosa pensa che l’Unione europea, ma anche i singoli Stati, possano fare per cercare almeno di mantenere il più forti possibile questi legami?

È una domanda difficile. Penso che gli alleati europei dovrebbero cercare di impegnarsi con la Casa Bianca. Non c’è alcuna ragione strategica per non farlo. Non impegnarsi con gli Stati Uniti non è la risposta. E credo che debbano anche cercare opportunità per creare qualsiasi tipo di impegno positivo al di fuori dell’ambito commerciale. Per quanto riguarda la difesa e la sicurezza, ritengo che sia davvero importante che gli europei non parlino come singole nazioni ma con una sola voce sull’importanza, per gli interessi degli Stati Uniti, e non solo di quegli europei, di forze americane stanziate in Europa. Questa amministrazione non la pensa così, e pensa che tutto ciò che viene fatto per l’Europa sia una sorta di filantropia. Ovviamente, non è così. Per decenni ha servito direttamente gli interessi degli Stati Uniti. Ma credo che abbiamo bisogno che gli europei facciano valere le loro ragioni in modo molto chiaro e che non siano i leader di un singolo Paese, che sia l’Italia o la Polonia o la Francia o il Regno Unito, a parlare nell’interesse dei loro Paesi, ma che parlino davvero a nome dell’intera alleanza Nato, e dell’Europa nel suo complesso. E, sfortunatamente, non credo che lo stiamo vedendo in questo momento. Non c’è un unico messaggio proveniente dall’Europa e credo che questo sia un grosso problema per il futuro dell’alleanza.

Cosa pensa degli sforzi europei per influenzare, anche se indirettamente, i negoziati sull’Ucraina?

Gli Stati Uniti hanno tagliato fuori l’Europa da qualsiasi conversazione diretta, ma ciò non significa che l’Europa non debba continuare a lottare per ottenere un posto al tavolo, a prescindere dall’esito. Cercando di parlare, per quanto possibile, come una voce unita a sostegno dell’Ucraina, perché è vero che ciò che accade in Ucraina avrà effetti a lungo termine sugli Stati Uniti, naturalmente, ma avrà effetti più diretti sul futuro della sicurezza e della prosperità economica europea. Un’Ucraina fonte di instabilità o, nel peggiore dei casi, un’Ucraina completamente sotto il controllo russo dove la Russia sarà in grado di ammassare truppe direttamente al confine con la Nato, rappresenterà ovviamente un’enorme minaccia per la sicurezza dell’Europa.

In questo senso, quanto pesano gli sforzi europei nello sviluppo di proprie capacità di difesa?

Sì, molto. Anche se probabilmente ci vorrà molto tempo per vederne i risultati. Il sostegno europeo all’Ucraina dovrà riuscire a colmare il vuoto che gli Stati Uniti probabilmente lasceranno. Credo che la ripresa del sostegno militare statunitense all’Ucraina sia temporanea, e non ci sarà nessun altro massiccio pacchetto di finanziamenti da parte degli Stati Uniti. Credo che la maggior parte dei leader europei ne sia cosciente. Quindi l’Europa deve prendere l’iniziativa, sostenendo l’Ucraina economicamente e militarmente. Penso che quest’ultimo aspetto sia ovviamente il più impegnativo per l’Europa, dato lo stato dell’industria della difesa europea. Ma alcuni degli sforzi di cui si è parlato sono, a mio avviso, molto positivi. Come ad esempio la forza europea guidata dalla Francia e dal Regno Unito per assemblare una sorta di deterrente europeo o di una forza di pace in Ucraina, per garantire una deterrenza a lungo termine dopo un eventuale cessate il fuoco. Ma anche gli sforzi per fornire investimenti militari direttamente all’industria ucraina sono davvero importanti.

E per quel che riguarda l’aspetto economico?

Guarderei a un maggiore sostegno finanziario dalle risorse russe immobilizzate. Non capisco perché l’Europa, anziché limitarsi a usarli come garanzie per i prestiti, non si sia mossa per sequestrarli e impiegarli per sviluppare la resistenza economica e la sicurezza dell’Ucraina. C’è un percorso, legale, da seguire. E a mio avviso, è un percorso a basso costo capace di portare molti frutti.

Cosa pensa del futuro dell’architettura di sicurezza europea? Gli Stati Uniti continueranno ad essere coinvolti, anche se in misura diversa, o l’Europa cercherà di sviluppare una sorta di sistema di deterrenza che non dipenda dalle capacità militari degli Stati Uniti?

Guardiamo a questa domanda attraverso diversi orizzonti temporali. Nel breve e medio termine, cioè nei prossimi tre-cinque anni, potenzialmente anche dieci, l’Europa non sarà in grado di difendersi senza gli Stati Uniti. Sia che si tratti di questioni legate all’ombrello nucleare fornito dagli Stati Uniti, che di costruire una forza militare capace, sia che si tratti di costruire armi e altri tipi di sistemi per modernizzare e far crescere le forze armate europee. Si tratta di un progetto quantomeno decennale. Va considerata anche la questione del personale, il che significa che alcuni Paesi potrebbero dover re-instituire il servizio di leva. Tutte questioni politiche molto controverse, che richiederanno molto tempo per essere affrontate. Anche se c’è la volontà politica, che sembra esserci adesso, di rendere l’Europa autonoma dal punto di vista della difesa e della sicurezza, le capacità non ci sono. Quindi a breve termine non c’è altra risposta che continuare a dipendere dagli Stati Uniti. Come dicevo, l’Europa non ha altra scelta se non quella di impegnarsi con la Casa Bianca e con l’amministrazione statunitense, perché potenzialmente si tratta di una situazione di vita o di morte. Senza l’ombrello di sicurezza degli Stati Uniti, se nei prossimi tre-cinque anni ci sarà un attacco diretto all’Europa, dalla Russia o da altri Paesi, l’Europa sarà relativamente, anche se non completamente, indifesa. Quindi penso che sia necessario pensare a questi orizzonti temporali, cioè a cosa possono fare gli alleati europei ora, e a cosa si può fare dai prossimi tre anni in poi, sviluppando davvero un piano strategico e una visione di dove l’Europa vuole essere tra dieci anni. Naturalmente, in quel momento anche la posizione degli Usa potrebbe essere cambiata. Ma se l’Europa vuole andare verso la strada dell’autonomia, che purtroppo credo sia l’unica opzione, ci vorrà molto tempo.

Se nel frattempo Washington tollererà la “dipendenza” dell’Europa…

Parlerei piuttosto di “co-dipendenza”, che non è solo quella dell’Europa nei confronti degli Stati Uniti: anche gli Stati Uniti dipendono dall’Europa in molti modi. Solo che non ne parliamo tanto. Ed è per questo che vedo l’interesse dell’Europa a continuare a impegnarsi, a continuare a costruire un’agenda positiva, ove possibile, con gli Stati Uniti, perché le conseguenze di un mancato impegno sono molto, molto pericolose.


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