L’allarme dell’industria farmaceutica italiana proprio mentre si attende una decisione da parte dell’amministrazione Trump
“Se dovessero esserci i dazi sui farmaci, sarà una sconfitta innanzitutto per gli Stati Uniti. Ci sarà una possibile carenza di medicinali, un aumento dei costi e, soprattutto, un effetto domino che sposterà gli investimenti in ricerca e innovazione in Cina. E non crediamo che questo sia interesse degli Stati Uniti”. Marcello Cattani, presidente di Farmindustria, non lascia spazio all’interpretazione in occasione dell’appuntamento “Ricerca e futuro”, organizzato proprio da Farmindustria con il patrocinio del ministero dell’Università e della Ricerca. La sua dichiarazione arriva nel giorno in cui si attendono notizie dalla Casa Bianca: l’amministrazione Trump sta per rendere note le misure sui dazi, e tra le opzioni in discussione figura anche l’inclusione dei prodotti farmaceutici.
NO A LOGICHE PROTEZIONISTICHE
La posizione dell’industria italiana è chiara: no a logiche protezionistiche in un settore che garantisce ogni giorno accesso alla salute e cura per milioni di persone. “La risposta ai dazi Usa deve essere politica”, ha incalzato Cattani, ricordando che l’Unione europea esporta 158 miliardi di euro in farmaci, di cui ben 11 miliardi destinati agli Stati Uniti. “Gli Usa non possono pensare di switchare 11 miliardi di farmaci semplicemente perché non ci sono Paesi in grado di fornire in tempo zero farmaci innovativi e di valore come quelli made in Italy”.
ISOLAMENTO PERICOLOSO E CONTROPRODUCENTE
Un’escalation di dazi e controdazi potrebbe avere un effetto devastante non solo sugli scambi commerciali, ma sull’intero equilibrio dell’ecosistema farmaceutico globale. Il rischio concreto, ha spiegato Cattani, è un isolamento pericoloso e controproducente: “Anche la posizione di andare a produrre farmaci negli Stati Uniti soddisfa il principio di autonomia strategica, ma bisogna fare attenzione: la produzione farmaceutica richiede anni. I cittadini hanno bisogno di farmaci subito, ogni giorno”.
IL CONTESTO GEOPOLITICO
A rendere più fragile il quadro, un contesto geopolitico sempre più instabile. Le guerre commerciali, l’aumento del 30% dei costi di approvvigionamento, la dipendenza europea da Cina e India per il 75% dei principi attivi e per il 60% dell’alluminio sono dati che impongono scelte strategiche urgenti. La Cina, che oggi rappresenta il 30% degli studi clinici globali – contro il 35% degli Stati Uniti – si avvicina rapidamente alla leadership nella ricerca farmaceutica. L’Europa, invece, arretra, passando dal 44% al 21% in appena 15 anni. “Negli ultimi 25 anni abbiamo perso il 25% degli investimenti in R&S rispetto agli Stati Uniti”, ha osservato Cattani. Una tendenza che rischia di diventare irreversibile se non si adottano politiche di attrattività, semplificazione e valorizzazione della ricerca.
IL RUOLO DELL’ITALIA
Eppure, l’Italia ha ancora carte importanti da giocare. Solo nel 2024, l’industria farmaceutica ha investito oltre 2 miliardi di euro in R&S e altrettanti in impianti di produzione ad alta tecnologia e digitalizzazione. Sono 24mila le molecole in sviluppo nel mondo, metà di sintesi chimica, metà biotecnologiche, e l’Italia può ancora attrarre una quota significativa di investimenti, grazie al suo patrimonio di competenze pubbliche e private. “Oggi è più facile reperire droni e armamenti che farmaci», ha sottolineato Cattani con tono provocatorio. Un paradosso che ben evidenzia la complessità della filiera della salute: “La produzione farmaceutica richiede qualità, scala, competenze e innovazione continua. E questo – ha rivendicato – l’Italia lo sa fare”. Una forza costruita nel tempo grazie alla visione di lungo periodo, all’open innovation e alla collaborazione pubblico-privato.
L’ALLEANZA CON IL CNR
Non a caso, proprio in occasione del convegno “Ricerca e futuro”, Farmindustria e il Consiglio nazionale delle ricerche hanno firmato un protocollo per una nuova alleanza strategica, con l’obiettivo di rafforzare la formazione, accelerare il trasferimento tecnologico e facilitare lo sviluppo clinico dei farmaci. Un’alleanza necessaria anche per affrontare le sfide del futuro: l’invecchiamento della popolazione, l’aumento delle malattie croniche e neurodegenerative, la pressione sulla sostenibilità dei sistemi sanitari.
L’EUROPA DEL DOMANI
“Quale sarà l’Europa di domani?”, si è chiesto Cattani. “Abbiamo davanti due strade: quella di un’Europa lenta, burocratica e disincentivante, o quella di un continente che considera le life sciences un investimento strategico, capace di passare dalle parole ai fatti”.
BERNINI: UNIVERSITÀ, INDUSTRIA E FARMACEUTICA ALLEATI
Velocità, semplificazione normativa, protezione della proprietà intellettuale e accesso ai dati clinici per la ricerca sono – secondo il presidente di Farmindustria – le leve per attrarre investimenti e trattenere i talenti. Un compito che non può essere lasciato solo all’industria, ma deve coinvolgere le istituzioni. Come ha ricordato anche la ministra dell’Università Anna Maria Bernini: “Università, ricerca e industria farmaceutica non possono che essere alleati strategici. Sono tre anelli della stessa catena”.