Il vertice di Palazzo Chigi con Giorgetti, Urso, Lollobrigida, Tajani e Mantovano sancisce la linea del negoziato, perché la guerra commerciale non conviene a nessuno. Sulle imprese pronto l’ombrello dell’esecutivo. Ma l’Europa carica la pistola da mettere sul tavolo delle trattative
Nessun corpo a corpo. Perché la guerra commerciale non conviene a nessuno, nemmeno agli Stati Uniti. Al termine di un’altra giornata al cardiopalma, dentro e fuori le Borse, a Palazzo Chigi è andato in scena l’atteso vertice sui dazi. Durato circa un’ora e mezza e convocato dalla premier Giorgia Meloni. Alla task force hanno partecipato i due vicepremier, Matteo Salvini e Antonio Tajani, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, il ministro delle Imprese e made in Italy Adolfo Urso, il ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare Francesco Lollobrigida, il ministro degli Affari europei e del Pnrr Tommaso Foti, oltre al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano.
Durante l’incontro è stato ribadito che “una guerra commerciale non avvantaggia nessuno”. Inoltre, in vista della riunione tra poche ore con le categorie produttive, sono state analizzate delle proposte per sostenere i settori più a rischio. Alla fine del vertice, una nota di Palazzo Chigi ha fatto sapere che durante la riunione c’è stato “un approfondimento sul tema dei dazi imposti dagli Stati Uniti e le possibili implicazioni per l’economia italiana”.
I ministri accorsi a Palazzo Chigi, inoltre, “hanno illustrato” alla presidente del Consiglio “le diverse ipotesi allo studio per sostenere le filiere produttive e rilanciare la competitività delle imprese. Proposte che saranno al centro del confronto con le categorie produttive, in programma per domani”. Si è discusso anche “degli strumenti necessari per sostenere le imprese, intervenendo sulle regole ideologiche e poco condivisibili del Green Deal e sulla necessità di semplificare il quadro normativo”. Durante l’incontro, poi, come detto “è stato ribadito che una guerra commerciale non avvantaggerebbe nessuno, né l’Unione Europea né gli Stati Uniti”. E comunque “è emersa la necessità di affrontare il tema con determinazione e pragmatismo, perché ogni allarmismo rischia di causare danni ben maggiori di quelli strettamente connessi con i dazi”.
Tutto questo al termine della terza giornata critica sui listini, con le borse europee che hanno bruciato oltre 683 miliardi di euro alla fine della terza seduta che segue l’annuncio dei dazi del presidente Usa, Donald Trump. Sommato a quello delle due giornate precedenti, il saldo complessivo è pari a un rosso di 1.924 miliardi di euro. L’Europa, intanto, carica la famosa pistola da mettere sul tavolo dei negoziati. La prima riunione dei ministri (del commercio) dei 27 sui dazi rilancia infatti una “inaspettata” unità dei Paesi membri dell’Ue. La linea preferenziale resta quella del negoziato. Anzi, un’offerta è già sul tavolo della Casa Bianca: applicare, reciprocamente, zero tariffe sui beni industriali. Ed è un’offerta avanzata ben prima del 2 aprile, finora invano. Ed è qui che subentra l’altra faccia della strategia Ue: il via libera ai primi contro-dazi al 25%, che scatteranno il 15 aprile.