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L’oro di Putin. Così il lingotto salverà (forse) Mosca

L’impennata del prezzo del bene rifugio per eccellenza ha fatto schizzare il valore delle riserve auree dell’ex Urss. Compensando, in parte le perdite subite dalle sanzioni. Ma per la Russia è l’ultima spiaggia

L’oro di Mosca. Alla fine la storia è sempre un po’ simile a una ruota, tutto prima o poi ritorna. E può succedere che uno dei beni più antichi e preziosi di sempre, possa aiutare un Paese a sopravvivere, anche a se stesso. Che la Russia abbia più di un acciacco, a cominciare da un prodotto interno lordo quasi del tutto artificiale perché costruito su un’economia di guerra a base di produzione di armamenti, è ormai assodato. Anche perché Mosca è stata privata di buona parte delle sue forniture di idrocarburi, almeno sul fianco occidentale con l’embargo imposto dall’Europa e dei suoi asset esteri detenuti nello stesso Vecchio continente, circa 200 miliardi il cui destino è ancora tutto da scrivere.

Insomma, non poca cosa. Ma ecco la ciambella di salvataggio per Mosca, sotto forma di lingotto d’oro. Premessa: la corsa dell’oro sembra ormai inarrestabile. Tra guerre, dazi e tanta incertezza, il bene rifugio per eccellenza altro non è che il metallo giallo. Da inizio anno le quotazioni sono aumentate costantemente del 20%, fino ad arrivare a 3.100 dollari per oncia. Questo ha di fatto aumentare le riserve auree sovrane degli Stati. Quelle italiane, per esempio, detenute nei caveau di Bankitalia, hanno visto nel 2024 schizzare il loro valore a 197 miliardi, 50 in più rispetto all’anno prima. E lo stesso è valso per l’ex Urss.

Ebbene, il valore delle riserve auree della Russia è aumentato del 72%, ovvero di 96 miliardi di dollari, dall’inizio del 2022, secondo i dati della banca centrale russa. La quantità fisica di oro nelle casse della Bank of Russia non è cambiata in modo significativo negli ultimi tre anni, rimanendo a circa 75 milioni di once. Ma è cambiato il suo valore. Il che vuol dire che nello scenario peggiore, in cui nessuno dei beni congelati dall’Europa venisse recuperato da Mosca, l’aumento del valore dell’oro russo compenserebbe circa un terzo delle potenziali perdite.

E se poi gli sforzi del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump per porre fine alla guerra portassero allo scongelamento di tutte le riserve estere, il Cremlino siederebbe su un cuscinetto finanziario come non ne ha mai avuto prima. Secondo i dati del World Gold Council, la Bank of Russia è attualmente tra le prime cinque banche centrali a detenere maggiori quantità di oro, con riserve di metallo giallo per un valore di 229 miliardi di dollari. Diverso è però il discorso delle banche private o comunque periferiche rispetto alla Bank of Russia.

Da quando Mosca ha deciso di aggredire l’Ucraina, alle banche, statali o private fa poca differenza, è stato chiesto di aumentare il volume dei prestiti alle imprese legate all’industria bellica. Ricorrendo anche ad alcuni trucchetti per mascherare le uscite, creando un sistema di finanziamenti ombra e dunque fuori dai bilanci ufficiali. Peccato che al Cremlino non abbiano tenuto conto di due variabili. Primo, lo sforzo bellico ha prodotto un’inflazione che molto presto toccherà il 10%, costringendo la Bank of Russia a portare i tassi al 21%. Secondo, con l’inflazione alle stelle e il costo del denaro ai massimi storici, non solo i normali cittadini fanno fatica a fare la spesa, ma le stesse imprese indebitate con le banche fanno fatica a rimborsare i prestiti.

E per gli istituti sono dolori e non resta che dare fondo al bene rifugio per eccellenza, l’oro, ora diventato mezzo di sopravvivenza. Ecco come si spiega il fatto che le riserve auree fisiche nelle banche russe, alla fine del 2024, siano diminuite drasticamente, attestandosi a circa 38 tonnellate, ovvero la metà rispetto all’autunno del 2023. Al primo gennaio 2025, il volume di oro detenuto negli istituti commerciali ha raggiunto il livello più basso da luglio 2022.


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