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Il prezzo dei dazi. Un fronte agricolo per gli Usa

I dazi imposti al Dragone stanno impattando sull’agricoltura americana, con l’apertura a nuovi mercati, come quello brasiliano. Rendendo così ancora più urgente una possibile trattativa su larga scala

La blitzkrieg, guerra lampo, commerciale messa in atto nelle scorse settimane dal presidente degli Stati Uniti ha avuto uno stop, temporaneo, dettato probabilmente anche da una certa reazione nervosa della grande finanza americana (Larry Fink, ceo di BlackRock e Jamie Dimon, numero uno di Morgan Stanley su tutti). Ora sembra arrivato il momento di trattare con i Paesi e la visita americana di Giorgia Meloni, il prossimo giovedì, va in questo senso.

Con Washington bisogna negoziare, facendo leva su un dato. E cioè, se è vero che l’Italia e l’Europa non possono fare a meno degli Stati Uniti, allora è vero il contrario. Questione di numeri, di cifre, estrapolati direttamente dalla bilancia commerciale tra le due aree. L’Europa vende di più in America certi beni, quest’ultima però batte il Vecchio continente su tecnologia e molto altro. Tutto questo per dire che le decisioni degli Stati Uniti in materia di dazi, hanno e avranno un loro prezzo.

Una prova arriva anche direttamente dal fronte interno americano, in uno dei settori più strategici per la prima economia al mondo: l’agricoltura. E c’è di mezzo la Cina. Sì, perché la stretta tariffaria contro il Dragone, con dazi al 145% per le merci in entrata, ha provocato una scossa tellurica che ha messo non poca agitazione addosso ai produttori statunitense. Il problema è doppio e abbraccia sia le esportazioni, sia le importazioni. Secondo l’American Farm Bureau Federation, l’industria agricola a stelle e strisce dipende dalle esportazioni per oltre il 20% del suo reddito annuale. Nel 2024, tanto per fare un esempio, gli Stati Uniti hanno esportato prodotti agricoli per 176 miliardi di dollari, il 47% dei quali è stato destinato a tre paesi: Messico (17,2%), Canada (16,1%) e Cina (14%). Soia, prodotti di allevamento, noci, frutta, verdura, cereali e mangimi sono tra le principali esportazioni statunitensi.

L’irrigidimento delle barriere doganali espone quindi il settore agricolo americano a dei rischi, visto e considerato che la Cina è uno dei principali mercati di sbocco per i prodotti della terra statunitensi. Non è un caso che proprio in questi giorni, i funzionari dell’amministrazione Trump abbiano iniziato a studiare e mettere a terra un pacchetto di aiuti per gli agricoltori statunitensi. “Stiamo predisponendo le dovute infrastrutture affinché se, nel breve termine, dovessero esserci conseguenze economiche per i nostri agricoltori e forse per i nostri allevatori, siano predisposti programmi per risolvere la questione”, ha dichiarato la Segretaria all’Agricoltura Brooke Rollins.

Ma il discorso non vale solo per l’esterno. La Cina, infatti, importa anche molto negli Usa. Versante agricolo incluso. Ora è tutto più difficile tanto è vero che si sono aperte le porte a un altro grande mercato, quello del Brasile. La cui punta di diamante è proprio la soia. Con il Dragone frenato dai dazi, per il Paese verdeoro sarà molto più facile allargare la breccia sul mercato americano. Il tutto avrà, ovviamente, un impatto sui prezzi. “I dazi imposti alla Cina rappresentano un vantaggio per gli agricoltori in Brasile e Argentina, e aiuterà molto la loro industria, nella direzione degli Stati Uniti”, ha detto Ishan Bhanu, analista di agricoltura presso il fornitore di dati sulle materie prime Kpler.

E non sono mancati gli appelli arrivati direttamente dai campi coltivati. Caleb Ragland, tra i maggiori sostenitori ed elettori di Trump nel mondo agricolo, in una lettera aperta al tycoon e in veste di presidente dell’American Soybean Association, ha implorato Trump di fare un accordo con la Cina. “È urgente che si svolga un accordo. L’economia agricola è molto più debole ora di quanto non fosse nel suo primo mandato. Dopo la prima guerra commerciale, abbiamo perso quasi il 10% della quota di mercato per la Cina che non abbiamo mai riguadagnato. La Cina ha anche in effetti bloccato una quota significativa dell’ingresso delle esportazioni di carne bovina statunitense verso il Paese, valutata l’anno scorso a 1,6 miliardi di dollari, non rinnovando le registrazioni che consentono a centinaia di impianti di carne statunitensi di esportare lì”. Il prezzo dei dazi.


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