È stato presentato a Roma il saggio “Governare le fragilità” scritto a quattro mani da Roberto Garofoli, presidente di sezione del Consiglio di Stato, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio, e Bernardo Giorgio Mattarella, ordinario di Diritto amministrativo alla Luiss. Ospiti ieri sera, assieme al capo della Polizia, Vittorio Pisani, dell’evento di Formiche
Cosa lega, nel profondo, le problematiche legate ai tempi della giustizia, la necessità di una pubblica amministrazione più snella, la visione degli esecutivi sulla politica industriale e un percorso formativo all’altezza delle sfide odierne? Tante risposte a queste domande, si trovano nel saggio “Governare le fragilità” scritto a quattro mani da Roberto Garofoli, presidente di sezione del Consiglio di Stato, già sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri durante l’esecutivo guidato da Mario Draghi, e da Bernardo Giorgio Mattarella, ordinario di diritto amministrativo alla Luiss.
La prima risposta che ha individuato Vittorio Pisani, capo della Polizia e direttore generale della Pubblica Sicurezza ospite ieri sera dell’aperithink di Formiche (in collaborazione con Gentili) – moderato dalla direttrice Flavia Giacobbe – è legata a un’esigenza “non più rinviabile per il Paese: la costruzione di un piano per la sicurezza nazionale”. Un elaborato complesso e ambizioso in cui tutte le componenti stanno assieme. Non è un caso, infatti che una parte poderosa del volume ruoti attorno a una tematica di cogente attualità: la Difesa.
“Si tratta di un volume lungimirante – è il giudizio che Pisani esprime in premessa – perché tratta non solo della difesa interna evidenziandone criticità e punti di forza sui quali in particolare ultimamente si è lavorato in termini di competenze e investimenti, ma soprattutto affronta il tema della difesa europea”. Ed è su quest’ultimo aspetto che il capo della Polizia esprime un auspicio, non prima di aver ricordato che la stesura del volume da parte degli autori parte prima dello scoppio della pandemia.
“Penso che questo saggio, per come è stato concepito e per la precisione con cui descrive alcuni apparati dello Stato – dice – possa rappresentare un riferimento per i percorsi universitari. Sarebbe auspicabile che potesse diventare un saggio accademico da adottare nei percorsi di formazione”. Così come è senz’altro una bussola per mettere a fuoco l’esigenza individuata in premessa: la realizzazione di un piano per la sicurezza nazionale.
“Pensavamo – scandisce Pisani – che la guerra fosse una dimensione confinata ai libri di storia, ma ci siamo accorti che non è così. E allora mi aspetto che il nostro Paese che sul versante della sicurezza mostra tantissime fragilità, possa invece fare fronte comune e predisporsi ad affrontare le sfide del presente: dalla guerra intesa in senso stretto, ma anche dalle soft war, passando per gli attacchi cyber a ogni genere di infrastruttura informatica”.
Mentre in Europa si discute di ReArm Eu, quello della costruzione di una vera difesa comune diventa un tema ineludibile. Ma, dalla prospettiva che Garafoli e Mattarella individuano nel saggio, la parte da “irrobustire” del piano presentato da Ursula von der Leyen è quello relativo alla spesa comune. “Sul piano nazionale – entra nel dettaglio il giudice di palazzo Spada – la situazione della Difesa sta migliorando, mentre sul piano europeo le debolezze dovute in particolare alla frammentazioni si sono rese ancor più evidenti da quando abbiamo assistito al parziale disimpegno statunitense”. Ed ecco perché “occorre concentrarsi sulla parte dei 150 miliardi di debito comuni previsti dal piano, magari irrobustendola, e rendendola l’elemento centrale attorno al quale rinsaldare i Paesi attorno al progetto di difesa comune”.
Resta il fatto che, per traguardare questi obiettivi, occorra un ecosistema che li renda per lo meno alla portata. Alla base di tutto sta l’impianto della pubblica amministrazione. Nella quale, suggerisce Mattarella, “occorre evitare la frammentazione e di regolamentarla tutta con provvedimenti che non tengono conto delle singole specificità”. Dallo Stato agli enti locali. Ed è in questo discorso complessivo che si innesta il grande moloch della giustizia. “Spesso – ammette – la giustizia rappresenta un fronte caldo e divisivo, ma penso che invece ci sia per lo meno un tema che vada affrontato in modo serio e senza fazioni: la durata dei processi”. Ma non solo e non tanto come esigenza di rendere il Paese più civile – che pure è un intendimento nobile – quanto più perché “il tema della durata dei processi è strettamente correlato alla competitività del Paese e alla capacità di essere attrattivo”.
Sì perché “se un potenziale investitore capisce che in Italia per avere riscontri dal sistema giudiziario occorre più tempo rispetto ad altri Paesi, è disincentivato a investire da noi”. Meritoriamente “grazie ai fondi del Pnrr si è fissato un obiettivo ambizioso: ridurre i tempi dei processi del 40%. Qualcosa è stato fatto – riconosce il docente della Luiss – ma la strada è ancora molto lunga”. Per questo occorrono “assunzioni di funzionari e magistrati”, oltre che “la valorizzazione delle competenze e della formazione” elementi “fondamentali per la competitività del sistema Paese”. Dalle materie stem agli Its. Allo stesso modo, aggiunge Mattarella, occorre che “i giudici, nell’emettere le sentenze, tengano conto degli effetti, anche di tipo economico, che queste ultime producono”.
Ed è in questo snodo che Garofoli individua la strategicità, anche sul versante della competitività del Paese, della giustizia. A proposito di competitività, entra in ballo “la scarsa capacità della politica di impostare una politica industriale”. Tutto si consuma per via di una discronia fra “la politica e le politiche che servono al Paese, indipendentemente dall’orientamento degli esecutivi”.
“Per affrontare un tema come la sicurezza nazionale – è la chiosa di Garofoli – occorre che gli apparati siano solidi, preparati e sappiano gestire gli indirizzi delle strategie per l’interesse nazionale anche al di là degli esecutivi che vanno e vengono”. In Italia, fin troppo spesso.