Il film di Mastandrea apre una prospettiva di poesia per un ricordo che cerca di attraversare la pena del dolore. L’amore può restituire senso a chi sopravvive. La sua memoria colma vuoto e sofferenza e supera la morte, in un viaggio che può continuare anche dopo il distacco. La recensione di Elvira Frojo
Cosa si prova alla fine della vita? Come accettare il distacco dalle persone care? E cosa insegnano i sentimenti? Prova a cercare risposte Valerio Mastandrea con “Nonostante”. Regista ma anche interprete principale e sceneggiatore, con Enrico Audenino, del film in sala, presentato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Specchiandosi nella macchina da presa, l’artista recita un copione, in fondo, uguale per tutti.
La storia si svolge in un nosocomio, dove essenze “viventi” di corpi in coma, immobili a letto, attendono il proprio destino. Ritornare alla vita o morire. In quella bolla dove “nessuno vuole morire da solo”, anime vaganti invisibili agli altri e prive di nome sono unite da amicizia. In quel luogo, può nascere persino un nuovo amore.
Una pellicola per riflettere a cuore aperto sulla vita, la morte, l’amore. Messi in scena con grazia e delicatezza ma anche con ironia e disincanto, nel rispetto dei temi affrontati.
Un racconto per coloro che “senza accorgersene vivono nell’immobilità ma poi riescono a superare i limiti, il film parla di chi, pur immobile o spaventato, trova nell’amore la forza di opporsi alla sofferenza, di chi sceglie di attraversare la fragilità invece di evitarla”, ha affermato Mastandrea. Inno alla vita e ai sentimenti, con il coraggio di rimettersi in gioco.
In un contesto surreale, il film profondamente intimo dedicato dal regista a suo padre Alberto scomparso nel 2023, riflette in maniera lacerante il dolore del distacco dalle persone care. Un viaggio senza ritorno, impossibile da accettare, nel quale memoria e dolore coincidono, nell’assenza della persona amata.
In un antico e difficile tentativo di spiegare il rapporto tra la vita e la morte, quest’ultima non sarebbe l’implacabile fine, tuttavia, secondo lo scienziato Manuel Sansa Segarra, autore del libro “La Sopracoscienza esiste. La vita oltre la vita”. La coscienza esisterebbe anche dopo la morte del corpo, come raccontano le esperienze di pre morte dei rianimati, descrivendo sensazioni di pace e amore e, viceversa, di disorientamento, con il ritorno nel corpo. Un approccio non supportato da metodi scientifici della medicina tradizionale.
È l’oblio la condizione per abbandonare il dolore della perdita? Quale luce è possibile trattenere per dare giustizia alle esperienze vissute?
Il film di Mastandrea apre una prospettiva di poesia per un ricordo che cerca di attraversare la pena del dolore. L’amore può restituire senso a chi sopravvive. La sua memoria colma vuoto e sofferenza e supera la morte, in un viaggio che può continuare anche dopo il distacco.
Durante il passaggio dei personaggi nell’aldilà, nella finzione scenica, una tempesta di vento travolge tutto. Proprio come accade quando nasce l’amore, tsunami che scompagina equilibri e certezze. È impossibile sottrarsi. In questo senso, la morte sembra avvicinarsi alla vita e le assomiglia.
Tenera e struggente è la storia d’amore tra i due protagonisti del film. Un bene prezioso, un sentimento da sottrarre all’oblio. La donna amata (Dolores Fonzi) deve portarlo per sempre con sé, dopo il suo ritorno in vita, mentre lui (Valerio Mastandrea) sta andando via. Affida il suo messaggio universale all’unica persona in grado di poterla incontrare. È il cantante volontario del nosocomio, il solo che può vedere le anime “sospese” (l’attore Giorgio Montanini, nella realtà, è testimone di una “rinascita” dopo quarantacinque giorni in coma).
Il lutto ha in sé qualcosa di insopprimibile. Il tempo non annulla il trauma ma, forse, può trovare conforto nella traccia dell’amore ricevuto e donato. È la forza della passione. Una dimensione in grado di aprire orizzonti di speranza anche verso un mondo misterioso e ignoto. “Le stanze (dell’ospedale) prima o poi le lasciano tutti. Si tratta solo di aspettare”, afferma un disincantato personaggio del film (Laura Morante).
È lo sguardo sulla vita visto con la preposizione “Nonostante”. Per opporsi alla sofferenza accogliendo la fragilità, con l’autenticità del cuore. Sempre, nella vita come nella morte.