I giganteschi veicoli sovrani del Dragone si sono presi una pausa di riflessione e fermato il motore degli investimenti nel private equity americano. L’ultimo effetto collaterale della guerra commerciale, ma non solo. Per i listini Usa, comunque, non sembra un problema
Joe Biden ne aveva fatto una battaglia, Donald Trump una questione personale. Questione di sicurezza nazionale, di salvaguardia dei propri asset tecnologici. La Cina, in sostanza, doveva e deve tenere a bada i propri fondi attivisti, pronti a investire miliardi nelle imprese americane, passando per la porta principale e non certo di servizio: Wall Street. La Cina batte in ritirata e abbandona la principale piazza finanziaria del mondo. La quale, non sembra essere più di tanto preoccupata dell’emorragia (l’ultima seduta racconta di un rialzo del Dow Jones del 2,6%).
I fondi sovrani cinesi, quelli con la potenza di fuoco superiore agli alti veicoli, hanno interrotto i nuovi investimenti nel private equity statunitense. Negli ultimi giorni, diversi fondi del Dragone, hanno ritirato insomma il loro impegno di apporto di liquidità in fondi gestiti da società con sede negli Stati Uniti. E c’è poco da fare, non è certo la sfiducia nell’economia americana ad aver messo alla porta i capitali cinesi. C’è la mano di Pechino dietro, una rappresaglia, l’ultima, contro Washington, nell’ambito dello scontro titanico sui dazi. Proprio nelle ore in cui la Casa Bianca ha aperto, non senza sorprese, a un possibile accordo commerciale con la Cina (che però Pechino avrebbe smentito), in grado di porre fine, per quanto sia possibile, alle ostilità.
Un esempio su tutti, quello di Cic, il più grande fondo sovrano cinese, con 1.350 miliardi di asset in portafoglio, nato nel 2007 con una dotazione iniziale di 200 miliardi. Una corazzata che piano piano sta prendendo il largo, restituendo Wall Street alla finanza americana. E pensare che negli ultimi decenni, i fondi sovrani cinesi hanno versato miliardi di dollari in molti dei più grandi gruppi di capitali privati statunitensi tra cui Blackstone, Tpg e Carlyle Group. Attenzione, non ci sono solo i dazi dietro la ritirata dei grandi fondi cinesi. Ci sono anche ragioni più finanziarie. Secondo alcuni esperti, interpellati dal Financial Times, la fuga dei capitali sarebbe invece spiegabile con un riposizionamento dei portafogli su asset non Usa, poiché negli ultimi anni il peso preponderante degli asset americani ha provocato uno sbilanciamento.
Il peso delle attività a stelle e strisce e, soprattutto nell’ultimo anno, delle Big tech, che hanno aggiornato ripetutamente i massimi storici, sono andati a scapito di altri asset. Questo vuol dire che l’industria americana, soprattutto tecnologica, ha acquistato valore e consistenza sui mercati. Non è una brutta notizia, anzi. Ora i gestori starebbero tentando di ribilanciare la situazione. Ma, come detto, Wall Street non sembra curarsene più di tanto.