I fondi della difesa dedicati solo ad aziende che hanno una catena di fornitura made in Eu, decisione che di fatto discriminerebbe tutte quelle realtà industriali che hanno relazioni con Usa, Regno Unito e Giappone, sono un controsenso, dice a Formiche.net Elena Donazzan (Ecr/FdI), relatrice ombra del dossier difesa, secondo cui in tutto ciò c’è una manina francese che sta mettendo subbuglio nel futuro della difesa europea
Gli eurodeputati italiani di FI e FdI si sono schierati contro la vulgata che vorrebbe i fondi della difesa dedicati solo ad aziende che hanno una catena di fornitura made in Eu, decisione che di fatto discriminerebbe tutte quelle realtà industriali che hanno relazioni con Usa, Regno Unito e Giappone. Un controsenso, dice a Formiche.net Elena Donazzan (Ecr/FdI), relatrice ombra del dossier difesa, secondo cui in tutto ciò c’è una manina francese che sta mettendo subbuglio nel futuro della difesa europea. Il nuovo programma Ue infatti “rischia di mirare le risorse su poche aziende francesi con l’esclusione della filiera produttiva italiana”. Per questa ragione Donazzan ha espresso il voto contrario, nella convinzione che le norme restrittive penalizzano poli industriali di eccellenza come Leonardo che vantano una filiera lunga e creano per l’Italia un “disagio” a livello di alleanze. Il tutto si sta verificando con una forte pressione esercitata da parte di Parigi, come dimostra il fatto che 5 relatori su 16 sono francesi, ciò “ci diceva già in origine dove questi stessero andando, quindi chi sta facendo pressioni è la Francia”, osserva l’esponente conservatrice, secondo cui se passasse il programma così come è stato votato, cioè a trazione francese, “noi non saremo pronti e così stiamo scontentando proprio i nostri alleati, che non sono solo gli Stati Uniti”.
Perché il nuovo programma europeo di difesa rischia di concentrare le risorse su poche aziende francesi con l’esclusione della filiera produttiva italiana?
Perché sono state inserite delle percentuali di eleggibilità e di finanziabilità, quindi di riconoscimento della possibilità di essere utilizzate e essere finanziate, che in Europa escludono i Paesi terzi come Giappone, Inghilterra, Stati Uniti. Quindi noi stiamo escludendo anche nostri alleati. Le uniche eleggibili, come capofila e come capacità, sono francesi. Il fatto che 5 relatori su 16 siano francesi ci diceva già in origine dove questi stessero andando. Quindi chi sta facendo pressioni è la Francia.
Con quali conseguenze?
La manina è loro, ma così escludiamo Paesi terzi che sono nostri alleati. Tra le altre cose stiamo escludendo tutta la filiera di produzione italiana, dal momento che nell’articolo undici di questo programma di industria della difesa, oltre alle percentuali di produzione, è previsto che lo Stato membro deve dimostrare che quella azienda possiede una serie di certificazioni. Così si aumenta la burocrazia.
Perché siamo penalizzati noi rispetto alla Francia?
Perché noi abbiamo una filiera lunga di produzione. Il che significa che magari dimostriamo di avere quelle percentuali, ma con tempi di risposta che possono anche poi farci stare fuori dalle commesse.
Leonardo rispetto a Airbus sarebbe soggetta a restrizioni per via di piccole componenti straniere: come evitare che ci siano azioni ad escludendum?
Potenzialmente sia Leonardo che Airbus devono dimostrare ogni volta di avere tutte le caratteristiche richieste. La differenza è che noi chiediamo a Leonardo sempre di essere inclusivo rispetto alle imprese italiane, per una filiera che non vogliamo solamente di difesa ma vogliamo spesso che sia di dual use. La differenza tra noi e il mondo francese è che loro non hanno una fotografia variegata e quindi con questa scrittura arriveremo a penalizzare Leonardo e la richiesta di coinvolgere un territorio di imprese piccole medie, differenziate e multisettoriali rispetto alla struttura molto accentrata che è tipo francese. Quindi i cinque relatori, ovvero i due più gli altri tre relatori ombra di stampo francese, sono andati tutti nella stessa direzione: cioè difendere la taglia francese.
Per questa ragione ha votato contro?
Il mio voto contrario nasce perché durante la fase che si apre ora della contrattazione, dove siedono gli Stati membri singolarmente intesi, venga avanzata questa posizione.
Come integrare le potenzialità italiane all’interno di una strategia comune e condivisa?
Il nostro è il realismo. Il realismo dice che l’Europa non ha politica di difesa, non ha un’industria della difesa. E se passa il programma così come è stato votato, cioè a trazione francese, noi non saremo pronti. In questo momento non siamo in grado, lo saremo forse nel lungo termine, tra cinque o dieci anni. Invece noi dovremmo guardare all’immediato. E poi non dimentichiamo che tutti noi, io per prima che sono una nazionalista convinta, dobbiamo fare in modo che il sistema imprenditoriale della difesa produca in Europa, ma in questo momento non è possibile proprio perché ci sono delle cose che non stiamo producendo. E allora credo che la stessa Francia stia sbagliando la mira, perché in questo momento non è in grado di dare le risposte di prontezza alle esigenze della difesa europea.
Cos’è la difesa europea?
È una prerogativa degli Stati membri, questo va sottolineato: non stiamo parlando di un esercito europeo ma dell’esercito italiano dentro un quadro di difesa europeo e nell’alleanza della Nato. Ma così stiamo scontentando proprio i nostri alleati, che non sono solo gli Stati Uniti.