La Germania sarà il primo Paese dell’Ue a chiedere formalmente lo scorporo delle spese militari dal Patto di stabilità. Berlino intende rilanciare la propria difesa con nuove risorse a debito, in un contesto europeo segnato da minacce esterne e da un possibile disimpegno americano. L’Italia, invece, mantiene la linea della prudenza, mentre a Bruxelles si discute la revisione dei meccanismi di coesione. Intervista con l’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci (Iai)
È ufficiale: la Germania sarà il primo Paese europeo a richiedere formalmente lo scorporo delle spese per la Difesa dai parametri sul debito previsti dal Patto di stabilità. Dopo ottant’anni di politiche in senso opposto, Berlino intende investire massicciamente nella propria Difesa, mentre a Bruxelles ci si prepara a un’altra delibera importante: la revisione delle regole per l’impiego dei fondi di coesione per sostenere la Difesa. Sulle implicazioni per il resto dell’Europa (e per l’Italia), Formiche.net ha discusso con l’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, consigliere scientifico dell’Istituto affari internazionali (Iai).
Ambasciatore, uno dei punti più controversi del piano ReArm Europe/Readiness 2030 riguarda la possibilità, per i Paesi che ne faranno richiesta, di finanziare le spese per la Difesa ricorrendo ad ulteriore debito in deroga al Patto di Stabilità. Mentre diversi Paesi come Italia, Francia e Spagna per ora non usufruiranno di questo strumento, Berlino ha annunciato che chiederà ufficialmente l’attivazione delle clausole di salvaguardia per procedere con le nuove spese a debito. Stiamo assistendo alla nascita di una nuova Germania?
Partirei da una premessa: siamo molto vicini all’insediamento del nuovo governo in Germania. Sappiamo che questo Governo si è formato sulla base di un programma che è stato oggetto di un lungo negoziato e che, in estrema sintesi, propone tre grandi priorità: il rilancio dell’economia, la sicurezza interna e la Difesa. Quindi, per certi aspetti, l’annuncio di voler attivare le clausole di salvaguardia per le spese per la difesa non costituisce una sorpresa. Non credo che questo debba essere fonte di particolari preoccupazioni. Questa Germania non è la Germania che in passato poteva costituire una minaccia per il resto dell’Europa.
E che tipo di Germania è?
È una Germania saldamente ancorata alla sua collocazione al centro dell’Europa e schierata a sostegno del progetto europeo, e che sicuramente ha in programma di spendere di più e meglio per la difesa. Intende soprattutto recuperare un ritardo rispetto ad alcuni partner europei che, in materia di difesa, spendono di più e spendono meglio della Germania.
È un cambiamento considerevole rispetto al passato. Come ci si è arrivati?
In passato la Germania aveva assunto un profilo di potenza essenzialmente civile, anche come conseguenza della percezione tedesca delle proprie responsabilità per la seconda guerra mondiale. Quindi è abbastanza comprensibile che finora ci fosse una certa reticenza da parte tedesca a impegnarsi sul fronte della difesa. Ciò negli anni ha limitato non solo la spesa per la difesa, ma anche la partecipazione della Germania alle missioni militari all’estero, seppure sotto il cappello delle organizzazioni internazionali.
E adesso?
Adesso il contesto è cambiato. Troppe circostanze impongono oggi alla Germania — ma non solo alla Germania — di ripensare il tema della difesa. C’è una minaccia concreta da Oriente come testimoniato dall’aggressione della Russia all’Ucraina che ha provocato un conflitto di cui è ancora difficile individuare una prospettiva di risoluzione. E siamo in presenza di un rischio di disimpegno degli Usa dall’Europa, che potrebbe rimettere in discussione la credibilità delle garanzie americane per la sicurezza dell’Europa. Parliamo quindi di un contesto internazionale che giustifica questa presa di consapevolezza da parte degli europei, e dei tedeschi in particolare.
Parliamo quindi di una svolta epocale.
In realtà la svolta in Germania è stata duplice. Innanzitutto perché, prima ancora dello scioglimento del parlamento, è caduto il dogma — addirittura scritto nella Costituzione — del pareggio di bilancio. Si tratta di una svolta epocale per quanto riguarda la gestione della finanza pubblica in Germania. La seconda svolta riguarda la destinazione della spesa pubblica addizionale, dal momento che la nuova spesa resa possibile dalla revoca del freno sul debito, sarà in parte destinata a rafforzare le capacità militari della Germania.
Sappiamo che già oggi la Germania è la prima economia d’Europa, tuttavia con questa nuova disponibilità di spesa non è inverosimile pensare che presto possa ambire anche a un primato militare, quantomeno all’interno dell’Ue. Ciò implica il rischio di uno sbilanciamento eccessivo a favore di Berlino nel contesto comunitario?
Quello degli squilibri è un problema reale e oggettivo. Quando si consente ad un Paese che ha margini di bilancio come quelli della Germania di spendere più di altri per la propria difesa, è ovvio che si rischia una situazione in cui non tutti i Paesi contribuiscono a questo sforzo collettivo nella stessa misura. Non è una situazione ideale, ma neppure un pericolo. Il problema, semmai, è per gli altri, per quelli che non riescono — o che non sono intenzionati — a spendere di più. Il rischio più concreto è che la difesa europea assuma una geografia a macchia di leopardo. D’altra parte, però, non credo che possiamo impedire alla Germania di armarsi meglio e più.
È notizia recente la nomina di un tedesco, il generale André Denk, come nuovo direttore dell’Agenzia europea della difesa (Eda). Alla luce di questo ulteriore sviluppo, la Germania potrebbe essere favorita maggiormente?
È vero che l’Agenzia per la difesa europea è l’organismo che, nell’assetto attuale, coordina vari progetti di cooperazione tra le industrie della difesa in Europa. Normalmente l’incarico viene assegnato seguendo un principio di alternanza, ma è possibile che, avendo un generale tedesco alla sua guida, le industrie tedesche del settore potrebbero risultare favorite rispetto ad altre.
Tornando sui finanziamenti per la Difesa, la prossima settimana è atteso il voto al parlamento europeo sulla modifica delle regole inerenti ai Fondi di coesione presentata dal commissario Fitto. L’eventualità di reindirizzare tali fondi verso la Difesa è stata in passato esclusa dal governo italiano. Considerando che al momento l’Italia non contempla neanche l’emissione di ulteriore debito, secondo lei è possibile che il governo riconsideri l’ipotesi di sfruttare parte di questi fondi per finanziare la Difesa?
Non ne vedo le premesse. Ricordo chiaramente che, quando uscì la proposta della Commissione europea — nota con l’infelice termine di ReArm Europe —, la possibilità di utilizzare una parte dei fondi di coesione per la spesa militare incontrò da subito una reazione negativa da parte dell’Italia. Non credo che ci siano, ad oggi, elementi che lascino pensare ad un cambiamento della posizione del Governo italiano rispetto a questo punto.
Quindi è possibile che l’Italia voti contro la modifica dei regolamenti?
Una cosa è decidere di non utilizzare le risorse dei fondi di coesione per spese militari — come farà l’Italia —, altra cosa è opporsi a una misura di revisione parziale dei meccanismi di funzionamento dei fondi strutturali europei. Spero che l’Italia non si opponga a queste misure di parziale revisione dei regolamenti. Se poi non si vorrà usufruire di questa possibilità, è un’altra questione. Tuttavia, per ora, il governo è stato molto chiaro e i fondi di coesione non si toccano.