La firma dell’accordo sui minerali chiude un capitolo, ma difficilmente avrà ripercussioni sul processo negoziale. Che al momento sembra destinato ad arenarsi. Con la guerra che potrebbe durare ancora a lungo. Conversazione con Polina Sinovets, direttrice dell’Odesa Center for Nonproliferation, istituito presso l’Odesa I.I. Mechnikov National University, e visiting scholar dell’Istituto Affari Internazionali
La firma dell’accordo sui minerali di poche ore fa pone termine ad una percorso durato mesi, caratterizzato da ccnompresnioni, scontri e tentativi di mediazione. Difficile però presupporre che adesso si apra una nuova fase nel lavorìo diplomatico che si svolge attorno al conflitto in Ucraina e ad un ipotetico cessate il fuoco. Che al momento sembra addirittura allontanarsi. Formiche.net ha rivolto alcune domande a Polina Sinovets, direttrice dell’Odesa Center for Nonproliferation, istituito presso l’Odesa I.I. Mechnikov National University, e visiting scholar dell’Istituto Affari Internazionali.
Cosa ne pensa dell’accordo sui minerali firmato nelle scorse ore tra Kyiv e Washington?
Ricordiamoci che questo accordo nasce dalla volontà di Trump di farsi “pagare” da Kyiv il materiale militare che era stato fornito all’Ucraina dagli Stati Uniti sotto l’amministrazione Biden, fornitura che era stata fatta da Washington su base volontaria, e in assenza di un qualsivoglia contratto che obbligasse Kyiv a fornire qualsivoglia bene in cambio dell’equipaggiamento. All’inizio nessuno in Ucraina vedeva di buon occhio questo accordo, ma la Casa Bianca è riuscita ad esercitare una pressione sufficiente per spingere l’amministrazione a venire a patti, ad esempio sospendendo l’invio di armi. Non a caso, a poche ore di distanza dalla firma dell’accordo lo stesso Trump ha annunciato un nuovo pacchetto di armi per Kyiv.
Ma l’Ucraina è stata capace di raggiungere un accordo più equo…
Direi di sì. Rispetto alla prima versione, che in Ucraina è stata appunto criticata piuttosto aspramente, questa risulta essere più accettabile. Soprattutto considerando le difficoltà implicite nel trattare con una figura come quella di Trump. Ci sono alcune questioni ancora da definire, come quella delle garanzie di sicurezza: non c’è niente di scritto al momento, ma già la semplice presenza di aziende e di investimenti statunitensi in territorio ucraino svolge la funzione di “tripwire”. Dubito che Washington non interverrebbe qualora i suoi interessi diretti venissero minacciati da nuove azioni militari russe.
Dopo la firma dell’accordo pensa che ci siano maggiori chance che Kyiv e Washington possano fare fronte comune all’interno del processo negoziale in corso?
Certo, forse adesso tra Kyiv e Washington ci saranno meno ostacoli. Ma Mosca cercherà in ogni modo di rallentare, se non di bloccare, questo riavvicinamento. Anche perché il Cremlino non intende certo rinunciare così facilmente al suo “partner ritrovato”. Sotto l’amministrazione Biden, la Russia non era considerata come possibile partner in un negoziato. Adesso la situazione si è capovolta. Anche se, a mio avviso, negli Stati Uniti ci si sta rassegnando al fatto che la guerra non è destinata a finire presto come previsto. E l’invio dell’ultimo pacchetto di armi sembra confermare questo presentimento. Anche le recenti dichiarazioni della portavoce della Casa Bianca suggeriscono che gli Stati Uniti vogliano mantenere il ruolo di mediatore, ma non in modo proattivo come fatto sino ad ora.
E Putin non sembra molto intenzionato a congelare il conflitto in questo momento? Quali sono i suoi obiettivi?
Decisamente no. Al Cremlino la sensazione è quella di star vincendo la guerra, e quindi vogliono andare avanti per occupare più territori possibili. Riguardo ai suoi obiettivi, difficile dirlo con esattezza. Magari è completare l’occupazione dei quattro oblast già “annessi” alla Federazione Russa nel settembre del 2022; magari è realizzare la conquista dell’intera linea di costa fino a Odessa, come molti suggerivano all’inizio; magari, riuscire addirittura a installare un governo fantoccio a Kyiv. Sul piano della grande strategia Putin ambisce a restaurare l’impero russo più che l’Unione Sovietica, e per questo è decisamente più interessato a territori abitati da popolazioni russofone. Le regioni occidentali dell’Ucraina, ad esempio, non sono mai state tra i suoi obiettivi.
Quanto ancora si può spingere avanti il conflitto?
Dipende. Nel suo stato attuale di “economia di guerra”, l’apparato economico russo può reggere per altri due anni circa. In questi due anni potrebbero ottenere grandi guadagni territoriali, senza aiuti esterni all’Ucraina. Se invece l’Ucraina continuasse a ricevere sostegno militare dai partner europei e soprattutto dagli Usa, la situazione potrebbe essere molto più difficile per Mosca. Infatti credo che Putin, nonostante voglia sfruttare questo momento per massimizzare la conquista di territorio, non abbia completamente accantonato l’idea di un accordo di pace. Seppure con delle condizioni minime, ovvero la rinuncia ucraina alle quattro regioni che citavamo prima, comprese le parti ancora sotto il controllo ucraino, oltre ovviamente al riconoscimento del controllo della Crimea. In questo modo Putin potrebbe uscirne da vincitore, un degno erede di Pietro il Grande che ha restituito alla Russia un vero accesso al Mar Nero. Ma anche in questo caso, non credo che le ingerenze di Mosca sull’Ucraina si fermerebbero.
Che intende?
Che, nonostante il “tripwire” dell’accordo sui minerali, non è da escludere che Mosca decida di utilizzare nuovamente lo strumento militare per prendere il controllo del resto dell’Ucraina. Così come non è affatto da escludere che Mosca voglia partecipare alla vita politica post-bellica dell’Ucraina.
Crede che il Popolo ucraino potrebbe supportare un candidato filo-russo anche dopo questa guerra?
Ci sono molte persone nella società civile ucraina che non si espongono minimamente, non prendono parte attiva negli agoni politici, non si schierano pubblicamente. Che risultano quasi invisibili, da questo punto di vista. E c’è la sensazione che queste persone non si dispiacerebbero nell’eventualità di un’occupazione russa. Soprattutto grazie alla propaganda di Mosca, che è ancora fortissima in tutto il Paese, e riesce ad avere un certo effetto. Anche se viene spesso smentita dai fatti sul terreno. Pensiamo ad esempio alla dichiarazione di Putin di aver invaso l’Ucraina per proteggere le minoranze russofone. E poi pensiamo al fatto che le città più colpite dai bombardamenti russi come Dnipro, Kharkiv e Chernihiv siano tutte città a stragrande maggioranza russofona. Non proprio il modo migliore di fornire protezione.
Rimanendo sulla politica, come vede la situazione in Ucraina? Zelensky è ancora il più forte?
Zelensky resta al centro della scena politica, anche se il suo consenso non è più unanime. Ma al momento non ci sono potenziali alternative. La rimozione del generale Zaluzhnyi, figura molto rispettata, è stata vista da molti come una mossa per allontanare un potenziale rivale. Paradossalmente, però, Zelensky potrebbe avergli fatto un favore: togliendolo di scena durante la fase ancora “positiva” della guerra, lo ha preservato dal logoramento e dal peso delle sconfitte militari successive. Oggi, Zaluzhnyi resta una delle poche figure in grado di raccogliere consenso trasversale, anche se resta da vedere se vorrà davvero entrare in politica. In ogni caso, se ne parlerà alla fine del conflitto. Ma assisteremo sicuramente a dinamiche politiche alquanto interessanti.
A cosa sta pensando?
Un altro elemento interessante è la nascita di nuove élite democratiche emerse dalla guerra, spesso lontane dai vecchi schemi politici. Si tratta di comandanti di unità tecnologiche, leader dei reggimenti di droni, e figure operative che hanno gestito direttamente l’aiuto militare occidentale e coordinato azioni sul campo. Molti di loro sono giovani, patriottici e privi di legami con la politica prebellica. Non è ancora chiaro che ruolo avranno nell’Ucraina postbellica, ma molti ambiscono a portare la loro esperienza diretta e il loro senso di responsabilità nazionale nella sfera politica. Potrebbero diventare una forza riformatrice importante, soprattutto se sapranno strutturarsi e guadagnare fiducia oltre il contesto militare.