Il San Marco ha simulato uno scenario di reazione a un attacco terroristico chimico-batteriologico. L’Italia è all’avanguardia anche nella gestione del warfare del futuro (su cui gli Usa e la Nato pongono estrema attenzione)
Nel cuore della notte, un team della Brigata Marina San Marco, proiettato da Nave San Marco, ha risalito il Tevere in modalità “riverine”, penetrando la periferia occidentale di Roma per neutralizzare una cellula terroristica sospettata di voler contaminare l’impianto irriguo di Ponte Galeria con una sostanza chimica. L’azione, parte dell’esercitazione “Mare Aperto 25”, è avvenuta discretamente qualche settimana fa, e ha incluso un contatto a fuoco e il rilascio simulato di agenti contaminanti, con l’intervento successivo del Comando Tutela Ambientale dei Carabinieri per campionamenti e analisi forensi.
Non è solo addestramento: è dimostrazione della crescente centralità delle minacce Cbrn (Chimiche, Biologiche, Radiologiche e Nucleari) nei moderni scenari di guerra ibrida, urbana e non convenzionale. E conferma, al tempo stesso, che l’Italia si sta attrezzando per affrontare le sfide più sofisticate della sicurezza globale.
Biotecnologie e minaccia strategica: il warning dagli Stati Uniti
L’iniziativa italiana si inserisce in un contesto internazionale sempre più consapevole della vulnerabilità sistemica rispetto a minacce invisibili ma letali. A confermare la crescente centralità del dominio Cbrn e in particolare della dimensione biologica, arriva anche un rapporto appena presentato al Congresso americano dalla National Security Commission on Emerging Biotechnology. Frutto di due anni di lavori, e firmato da figure di primo piano come il senatore Todd Young (membro del comitato Intelligence), l’ex CEO di Google Eric Schmidt e Michelle Rozo (già al vertice della bio-difesa del Pentagono), il report afferma senza ambiguità che la Cina si avvia al dominio globale della biotecnologia — con un chiaro rischio per la sicurezza nazionale statunitense.
Pechino starebbe investendo in modo massiccio nella militarizzazione delle biotecnologie, sviluppando capacità dual-use che potrebbero generare nuovi livelli di deterrenza (o minaccia) biologica, difficili da rilevare e da contenere. La dimensione bio-tech del warfare, in combinazione con operazioni informatiche e disinformative, rappresenta una delle frontiere più complesse della competizione strategica. Gli esperti militari della Repubblica popolare avrebbero integrato anni di studi sulle biotecnologie civili e militari in una strategia fusion, e non vi è “alcun dubbio che il Partito Comunista Cinese sia pronto a militarizzare la biotecnologia”, scrive il report. Tra gli scenari evocati, quello in cui la guerra con i droni apparirà “roba d’altri tempi” nel momento in cui l’Esercito Popolare di Liberazione dovesse impiegare truppe geneticamente potenziate.
Perché investire sul Cbrn non è più un’opzione
In questo contesto, l’attività sul Tevere assume un significato che va ben oltre la difesa del territorio nazionale: rappresenta un esercizio integrato, interforze e inter-agenzia, di capacità di risposta a un attacco Cbrn su un’infrastruttura critica — esattamente il tipo di scenario ibrido che oggi caratterizza i conflitti contemporanei.
Lo scenario addestrativo simulato in Mare Aperto 25 — contaminazione di una risorsa idrica in un’area metropolitana — è estremamente realistico. Non è un caso che molte dottrine Nato più aggiornate prevedano un innalzamento delle capacità Cbrn integrate nei dispositivi di deterrenza e risposta rapida. E non è un caso che, anche nel contesto del Mediterraneo, le forze italiane assumano una postura avanzata, capaci di proiettarsi su fiumi, coste e centri urbani in risposta a scenari ad alta complessità.
Capacità interforze, resilienza nazionale e le nuove sfide
La riuscita dell’operazione simulata è un esempio concreto della necessità di connettere il livello operativo delle forze armate con la protezione civile, l’intelligence ambientale e le forze di polizia specializzate. In particolare, il ruolo dei Carabinieri del Comando Tutela Ambientale mostra come la difesa da minacce Cbrn non sia esclusivamente militare, ma richieda un ecosistema resiliente, in grado di garantire continuità operativa, raccolta delle prove, bonifica, e gestione del panico collettivo.
Il report statunitense invita l’amministrazione (lato politico e militare) ad agire entro tre anni per recuperare il ritardo, stanziando almeno 15 miliardi di dollari e inserendo capacità biotech nelle esercitazioni militari, anche sfruttando strumenti già esistenti come l’acceleratore Diana della Nato.
L’attività simulata dal San Marco, in questo scenario, diventa simbolo di una nuova postura italiana: agile, coordinata, reattiva. In un mondo in cui le minacce non arrivano solo da carri armati o missili, ma da agenti invisibili e infrastrutture compromesse, la risposta Cbrn è una delle nuove frontiere della difesa. E l’Italia, grazie alle esperienze testate, sta dimostrando di voler stare — e saper stare — al passo con le evoluzioni più complesse del warfare contemporaneo.