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#Usa2012 Candidati a caccia di voti

La gara tra Barack Obama e Mitt Romney si presenta molto incerta e combattuta, aperta ad entrambi gli esiti. In assenza di grandi visioni vincenti, essa vedrà prevalere chi meglio saprà infiammare e mobilitare le constituency fondamentali nell’elettorato.
 
Quali sono dunque questi gruppi di riferimento fondamentali?
Obama è quasi certo di perdere tra i bianchi oltre i quaranta anni, perciò dovrà cercare di compensare questo deficit ottenendo ampi margini in altri segmenti elettorali. Tra questi, uno dei più importanti per il successo del 2008 è stato quello dei giovani sotto i trent’anni, che diede ad Obama due terzi dei suoi voti. Si tratta di un gruppo meno benestante, più diversificato in termini razziali e più secolarizzato degli americani più adulti: sono dunque referenti naturali per i democratici. Da molti anni, però, non se la passano bene economicamente, con un tasso di disoccupazione molto superiore a quello degli americani meno giovani, e molti si sono laureati, senza però avere soddisfacenti prospettive lavorative. L’entusiasmo da rockstar che circondava Obama nella campagna del 2008 si è qui completamente dissolto; i giovani sotto i trent’anni sono oggi molto meno interessati alle presidenziali di quanto lo erano quattro anni fa.
 
Non c’è dubbio che Obama otterrà la maggioranza del voto dei giovani, ma se questa maggioranza sarà più vicina al 60 che al 70%, e se l’affluenza al voto dei giovani sarà inferiore a quella del 2008, ci saranno seri problemi alla sua rielezione. Un’altra constituency fondamentale per Obama saranno le minoranze razziali: neri e ispanici. Non sorprende che Obama, primo candidato di pelle nera della storia, abbia ottenuto il 95% dei voti afroamericani nel 2008, beneficiando di un afflusso record dei neri al voto. Sia quel margine che l’afflusso potranno ridursi rispetto al 2008, ma non in modo significativo, perché il presidente Obama resta straordinariamente popolare tra gli elettori neri.
Gli ispanici sono oggi oltre il 15% della popolazione americana (anche se meno del 10% dell’elettorato per motivi anagrafici, di cittadinanza e di affluenza): nel 2008 diedero il 67% dei voti ad Obama, in aumento dal 60% dato al candidato democratico John Kerry nel 2004. I repubblicani hanno fatto breccia nel mondo latino sulla base del conservatorismo sociale (gli ispanici sono più conservatori degli anglosassoni sull’aborto e il matrimonio gay), ma questi progressi si sono interrotti quando i candidati repubblicani (tra cui lo stesso Mitt Romney) hanno cominciato ad adottare posizioni sempre più dure sull’immigrazione illegale. Recenti sondaggi hanno mostrato che Romney fatica a raggiungere il 32% del voto ispanico raccolto nel 2008 da John McCain, e per lui sarà molto difficile andare alla Casa Bianca se non riuscirà a raggiungere nemmeno quel livello minimo. Di qui l’ipotesi che Romney possa scegliere un vice di etnia ispanica, come Marc Rubio (Florida) o Susana Martinez (New Mexico) per rafforzare la sua posizione in questo importante gruppo.
 
Il modo in cui i candidati si spartiranno il voto ispanico sarà fondamentale negli Stati oscillanti sudoccidentali: Colorado, Nevada, Arizona e New Mexico – un tempo tutte solide roccaforti repubblicane che sono diventate contendibili (o, nel caso del New Mexico, pro-democratiche) per l’afflusso di immigranti dal Messico. Romney, come ogni candidato repubblicano alla Casa Bianca, dovrà puntare sui bianchi adulti come perno della sua coalizione. Vincere questa sfida non sarà particolarmente difficile, visto che nessun democratico è più riuscito ad avere la maggioranza dei voti bianchi da Lyndon Johnson nel 1964.
 
Ma l’America è sempre più etnicamente diversificata, e ai repubblicani non basta più accontentarsi della maggioranza dei voti bianchi; dovranno renderla anzi sempre più schiacciante per supplire alle maggioranze democratiche tra i neri, gli ispanici, gli asiatici, eccetera. Romney dovrà mettere in campo una duplice strategia, indirizzando un messaggio ai bianchi ad alto reddito e istruzione e un altro ai bianchi a basso reddito e operai. Per decenni la quintessenza dei repubblicani, i bianchi ad alto reddito, hanno molto variato le loro preferenze politiche ultimamente, e molti di loro hanno sostenuto Obama nel 2008 per la novità storica della candidatura e per le sue posizioni liberal-moderate sui temi sociali; tuttavia hanno in maggioranza contrastato le riforme sanitarie e sarebbero colpiti duramente nel caso le proposte di Obama (tasse più alte e continui tagli al deficit) venissero attuate. Romney avrà bisogno di un messaggio economico forte e coerente per riportare questo segmento saldamente nel campo repubblicano.
 
Ma avrà bisogno anche di un messaggio diverso per attrarre il voto operaio bianco. Si tratta di voti che un tempo costituivano il nerbo dell’elettorato democratico, ma che si sono allontanati dal partito dagli anni Ottanta, con un trend che si è accelerato negli ultimi due cicli elettorali. Per aumentare il margine dei repubblicani in questo segmento, Romney dovrà enfatizzare gli insuccessi di Obama nella creazione di posti di lavoro e le sue tendenze liberal su questioni come aborto, matrimonio gay e controllo delle armi. I bianchi a basso reddito sono sempre più attratti dai messaggi repubblicani di questo tipo, specie da quando il Partito democratico ha sempre più assunto l’aspetto di una singolare coalizione di minoranze razziali ed élites urbane istruite e ad alto reddito.
 
Romney ha diversi problemi con questo gruppo; il suo immenso patrimonio e il suo stesso retaggio patrizio ne rendono difficile l’empatia con la classe operaia, e la sua fede mormonica (guardata con sospetto da molti americani) lo rende reticente a discutere troppo apertamente delle questioni etiche. E tuttavia, la strada per vincere nei cruciali e combattuti Stati del midwest (Ohio, Michigan e Wisconsin), passa proprio attraverso questi voti operai bianchi. Le possibilità di Romney di vincere in autunno dipenderanno in gran parte dalla sua capacità di capitalizzare compiutamente l’antipatia di questo segmento elettorale per Obama.


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