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Il tetto, il comignolo e il fumo. La lettura semiotica di Ciccotti

Un’immagine tramite le televisioni di tutto il mondo entra in ogni casa: il tetto con le tegole, il comignolo e il fumo nero/bianco. Una lettura semiotica tra società, cinema e fede

C’è l’atmosfera visiva di un tempo passato, un rinvio ad antiche case di borghi di campagna o di montagna, fatte di mattoni, pietra o legno, soprattutto nello stile europeo, cui rimandano i tre elementi iconici che vediamo da due giorni su tutte le tv del mondo: un tetto di tegole rosso scuro, un comignolo brunito di sottile lamierino, il fumo nero (o bianco che verrà).

È una immagine che profuma delle umili, piccole ma dignitose abitazioni di un mondo contadino o di piccoli allevatori in via di sparizione. Lo spettatore d’un subito immagina un caminetto che brucia della legna o degli sterpi rimediati nelle campagne, nei boschi o lungo i torrenti. Ricerca della legna che, per le famiglie povere, un tempo, era affidata ai figli, bambini e adolescenti. Come in quel freddo 11 febbraio 1858, quando la 14enne Bernadette Soubirous, insieme a due amiche, andò a cercare legna nella periferia della cittadina di Lourdes, di là d’un fiumiciattolo, il Gave.

A quel tempo, e ancor prima, i camini erano però ancora in muratura. Da uno di quelli, immaginiamo, più di duemila di anni fa, usciva il fumo dei parchi ma buoni pasti cucinati da Maria per un marito falegname, Giuseppe, e il loro ragazzo, aiuto-falegname, Gesù.

Ma a partire dall’Ottocento subentrarono alte canne fumarie, sempre in materiale edile (soprattutto nei paesi del centro Europa). E, parallelamente alla diffusione della lavorazione dei metalli industriali leggeri, prese piede un nuovo “camino esterno”, o canna fumaria: un tubolare in metallo sottile con relativo “cappello”.

In Sotto i tetti di Parigi (1930), delizioso film sonoro di René Clair, accanto alle vecchie canne fumarie esterne in muratura, si affiancano i primi “camini” tubolari in lamiera. Sono i “nonni” di quello, leggero, sistemato in cima al tetto della Cappella Sistina per il Conclave.

Il tetto di tegole della cappella Sistina ci rimanda alle tegole di molti tetti. Sia rosso fiamma o rosso scuro, l’Europa, da Český Krumlov o Roma, è un tappeto di tegole rosse. Ma nei poveri villaggi, se la tegola si scuriva per l’usura, la sostituzione, per motivi economici, avveniva solo quando non “reggeva” più l’acqua o la neve. Come le tegole annerite della casetta dei genitori di Francesco e Giacinta Marto, ad Aljustrel, nel 1917.

Il tetto è, leggendolo tramite la semiotica di Charles S. Pierce, un segno icona (è parte della casa); un segno indice, in quanto indica l’interno abitato che copre; è, infine, un segno simbolo. Simbolo poiché rinvia a tutte le case: al focolare; alla famiglia che sotto quel tetto vive, ride, soffre, spera e prega. È dunque simbolo di unità. Di accoglienza. Per questo abbiamo in tante lingue espressioni quali “vivere sotto lo stesso tetto”, “avere/non avere un tetto sopra la testa”, “accogliere qualcuno sotto lo stesso tetto”.

Il tetto della cappella Sistina, in quella immagine-TV, prima con un gabbiano poi con due gabbiani, entrando in tutte le case, rinvia allegoricamente alla casa comune di cui molti papi hanno parlato, da Papa Giovanni XXIII a Papa Francesco. Alla casa-mondo, al nostro pianeta.

Anche il comignolo della Sistina ci dice molto sul piano simbolico. Ma procediamo per gradi. Il comignolo è innanzitutto un segno indice. Indica sia la casa sotto di sé, sia il cielo sopra di sé.

È, inoltre, e ora entriamo nel simbolico, quel segmento che proiettandosi nel cielo lega quella casa a un’altra dimora, alla casa del Padre, presso la quale tutti i credenti un giorno si trasferiranno. Dove già vi abitano (sempre per i credenti) i loro cari e amici. E tanti che non conoscono personalmente ma che conosceranno. Pensate alle asciutte e brevi scene “paradisiache” di The Tree of Life, del filosofo e regista Terrence Malick.

Eccoci al fumo. Questo elemento-segno, nero/bianco, è ormai, parte della semiotica del Conclave, un simbolo all’interno di un codice binario (appunto, l’opposizione nero/bianco). In quanto codice, direbbe Marshall McLuhan, si fa messaggio. Infatti, se la fumata è bianca, significa “abbiamo il nuovo papa”. Se nera, “non abbiamo ancora il papa”.

Soffermiamoci sul bianco del fumo. Esso anticipa, fisicamente, indexicalmente, ossia indica, l’uomo vestito di bianco che poco dopo giungerà alla Loggia delle Benedizioni in San Pietro, per presentarsi al popolo di Dio. Il fumo bianco pre-annuncia la neo-veste bianca del neo-pontefice. Il papa eletto, ora è un ex cardinale; dunque lascia la talare rossa e la berretta (o il tricorno) rossa e indossa la talare bianca e la berretta bianca (popolarmente detta “papalina”).

Questo abito bianco, insieme ad altri paramenti, indica simbolicamente la sua nuova identità: l’ex cardinale è ora Pontefice. E come tutti gli altri predecessori, ne siamo sicuri, quando si presenterà dalla Loggia, parlerà anche di pace. La pace che ha il colore bianco della colomba, simbolo dello Spirito Santo, questi, regista absconditus dell’elezione


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