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Con Leone XIV la pace è più vicina, sia in Ucraina che a Gaza. Scrive D’Anna

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Nonostante gli appelli del Vaticano e della Casa Bianca in Ucraina e a Gaza si muore e si soffre più di prima. Ma per Mosca e Gerusalemme la situazione politica e diplomatica si sta capovolgendo. L’analisi di Gianfranco D’Anna

A Kyiv e Gaza c’è una corsa alla pace senza traguardo. Una competizione fatta di appelli accorati, come quelli di Papa Leone XIV, e di grande allarme umanitario più volte denunciato da Europa, Stati Uniti e da vari Paesi occidentali. Ma è una rincorsa della pace fittizia e unilaterale, alla quale partecipano solo le vittime, gli ucraini e il popolo palestinese, mentre sono assenti i due protagonisti principali, Putin e Netanyahu.

Dopo una lunga telefonata col nuovo pontefice, invitato a compiere una visita apostolica in Ucraina, il presidente Volodymyr Zelensky sarà in Turchia giovedì per i colloqui diretti preannunciati da Putin. Zelensky ha inviato un messaggio al Presidente russo affermando di attenderlo giovedì ad Istanbul per l’avvio delle trattative dirette proposto dal capo del Cremlino in un lungo discorso alla nazione. Kyiv ha accettato di partecipare ai colloqui anche senza il cessate il fuoco richiesto a Mosca da Inghilterra, Francia, Germania e Polonia, la cosiddetta Coalizione dei volenterosi.

Analoga la situazione a Gaza. Alla vigilia del viaggio in Arabia Saudita e nei paesi del Golfo del Presidente Trump, Hamas ha preannunciato la liberazione di uno ostaggio, il militare israeliano-statunitense Edan Alexander, e si è detta pronta alla tregua. Liberazione, quest’ultima, concordata nel corso di trattative dirette fra l’amministrazione americana e il gruppo terroristico che tiene in ostaggio la popolazione palestinese, costretta a subire i bombardamenti israeliani che mirano al colpire Hamas. Una popolazione senza scampo, che vive fra l’incudine dei fondamentalisti e il martello dell’offensiva israeliana, usata come scudi umani attorno ai dedali di bunker sotterranei dove si nascondono i terroristi di Hamas e sono tenuti prigionieri i restanti ostaggi del gruppo di persone sequestrate nel disumano attacco del 7 ottobre 20223 ai kibbutz israeliani nei dintorni della striscia di Gaza. Ma l’infinita rappresaglia di bombardamenti abbattutisi sui civili ha suscitato la condanna delle Nazioni Unite, della comunità internazionale e del Presidente americano Trump, che nonostante la stretta alleanza con Israele sta tentando di imporre una tregua. La liberazione dell’ostaggio israeliano-statunitense e l’invio di aiuti umanitari a Gaza conferma che Washington ha bypassato Gerusalemme e punta al raggiungimento di un cessate il fuoco con Hamas, anche a costo di contrapporsi a Netanyahu.

Speculare l’attesa delle trattative di Istanbul per porre fine alla guerra in Ucraina. Nelle capitali occidentali si scommette su quale scusa o escamotage alla “Aspettando Godot” che non arrivò mai, Putin utilizzerà per non presentarsi personalmente ai colloqui diretti in Turchia da lui stesso proposti e per tentare di guadagnare ancora tempo. Il Presidente russo appare senza via d’uscita: “Si é arrivati a una svolta, quella di una possibile trattativa. Se non si va avanti in questa direzione, Putin se ne deve assumere di fronte al mondo la responsabilità “, ha sintetizzato il Ministro degli Esteri Antonio Tajani da Londra al vertice del gruppo “Weimar e Big5 (Italia, Gran Bretagna, Francia, Germania, Polonia e Spagna)”.

Unanime fra gli analisti lo scetticismo sulla reale volontà di Putin di negoziare davvero con l’Ucraina. Scetticismo suffragato dalle analisi dell’intelligence americana ed inglese: Putin non vuole affatto la pace per la semplice ragione che non sopravviverebbe alla fine della guerra scatenata contro l’Ucraina. I falchi russi non l’accetterebbero e lo riterrebbero responsabile di quella che verrebbe considerata una sconfitta. Dopo l’apertura di credito nei confronti di Mosca, ad inizio dell’insediamento alla Casa Bianca, il Presidente Trump ha riposizionato gli Stati Uniti a fianco dell’Europa e di vari Paesi occidentali, come Gran Bretagna, Canada, Australia, Giappone e Nuova Zelanda, che supportano militarmente l’Ucraina e le consentono di resistere al pervicace, ma fallimentare, tentativo di invasione da parte dell’armata russa.

Con l’elezione di Papa Leone XIV, l’americano Robert Francis Prevost, che quotidianamente fa appello ad una pace giusta e duratura tanto in Ucraina quanto a Gaza, per il Cremlino la situazione si è ulteriormente complicata. Una eventuale iniziativa di pace del nuovo pontefice, da molti osservatori ritenuta possibile a breve tempo, come un viaggio a Kyiv, sommata ad uno dei ricorrenti aut-aut di Trump, che dopo aver promesso di porre immediatamente fine ai conflitti è invece ancora impantanato fra Putin e Netanyahu, potrebbe porre con le spalle al muro tanto il Presidente russo quanto il Premier israeliano unanimemente considerati dall’opinione pubblica mondiale due irriducibili guerrafondai.


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