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Perché Leone XIV mette la famiglia al centro della comunità. Il commento di Malgieri

Il richiamo all’unità familiare del papa non è soltanto una richiesta di attenzione alla sua sacralità, ma anche alla civiltà la quale fonda la famiglia come “perno” di una appartenenza nella quale i ruoli vengono naturalmente riconosciuti e, come tali, rispettati. Il commento di Gennaro Malgieri

Se la responsabilità dei governi è quella di costruire “società armoniche e pacificate”, l’obiettivo può essere ottenuto soltanto “investendo sulla famiglia, fondata sull’Unione stabile tra uomo e donna, società piccola ma vera, e anteriore a ogni società civile”. Queste parole, forti e decise, sono state pronunciate da papa Leone XIV davanti al Corpo diplomatico ricevuto in udienza. Un antico tema che ritorna, che accende, come era prevedibile, polemiche in ambito laicista, ma riflette la dottrina perenne della Chiesa, fino all’ultimo pontefice Francesco.

Il “netto ritorno a visioni politiche più conservatrici e tradizionaliste”, come è stata commentata la posizione del papa dal Circolo omosessuale Mieli, è uno dei cardini del cattolicesimo vissuto secondo gli insegnamenti cristiani e dal quale è imprescindibile ogni politica sociale che voglia essere coerente con le ragioni dell’umanità e quelle della convivenza. Non a caso nel suo discorso Leone XIV ha citato un passo significativo della enciclica sociale che cercò di coniugare tradizione e modernità: la  Rerum Novarum di Leone XIII secondo nella quale viene descritta, con accenti che non ammettono repliche, come l’unione stabile tra un uomo e una donna costituisca il nucleo di una “società piccola ma vera, e anteriore a ogni società”. Insomma, nessuno può esimersi, secondo il pontefice, “dal favorire contesti in cui sia tutelata la dignità di ogni persona, specialmente di quelle più fragili e indifese, dal nascituro all’anziano, dal malato al disoccupato, sia esso cittadino o immigrato”.

Parole forti, parole che non ammettono repliche dalle quali soprattutto i governi, di impronta cattolica o meno, dunque universali, hanno il dovere “umano” di investire sull’unione stabile tra uomo e donna di sesso diverso.

Mentre ci si accanisce, da versanti laicisti che hanno fatto del relativismo morale la loro ideologia di riferimento, fino a disconoscere paternità e maternità, chiamando semplicemente “genitore uno e genitore due”, in una intercambiabilità indecifrabile il padre e la madre, la dottrina della Chiesa tiene ben salda la corda che unisce tradizionalmente i membri della famiglia al loro ruolo naturale, come naturale è la tutela psicologica dei figli i quali vengono in tal modo avviati all’incapacità di discernimento tra i genitori con le sbalestrate adozioni, votate da parlamenti ed avallate da governi che pure si dicono ispirati dalla dottrina cristiana, da parte di due donne e/o di due uomini. Che ne sarà di loro crescendo, avviandosi all’età adulta?

La famiglia per come viene concepita dalla tradizione occidentale, ma non solo, è il nucleo portante della società. Dal suo disfacimento derivano molto spesso atti criminali che denotano la mancanza di rispetto di chi ha scelto di vivere, religiosamente o laicamente, di stare insieme per tutta la vita e di badare alla crescita della prole. Il relativismo che si riverbera anche nei sentimenti comporta spesso l’accanimento dei genitori i quali  non resistendo alle pressioni della convivenza ricorrono ai mezzi più cruenti per distruggere definitivamente le famiglie. È una questione di educazione alla convivenza, dunque, che viene da lontano alla quale, soprattutto le agenzie formative, a cominciare dalla scuola dove poco si fa per inculcare un “sentimento” familiare ai ragazzi, non conferiscono più importanza registrandosi a biasimare fatti crudeli di sangue tra marito, moglie, conviventi e affini quando si prende atto che non si può stare più insieme. Invece di cercare le ragioni della convivenza ci si ammazza.

La famiglia, dunque, può essere salvata soltanto riconoscendo il proprio ruolo nella società. E salvandosi dalle fughe in una libertà falsa che porta scompensi gravissimi nella comunità umana.

Con il suo appello, papa Leone XIV ha voluto sottolineare la centralità dell’unione tra uomo e donna, preservandola dagli attacchi immorali tenendo conto anche degli immigrati e rivolgendosi, dunque, universalmente a chiunque. Quel senso di fastidio o di allontanamento dei giovani dal proprio nucleo di appartenenza è figlio della “distrazione” che in molti casi tra marito e moglie si instaura in nome di una libertà che in realtà si traduce in anarchia gettando nell’immondezzaio i principi di reale solidarietà dalla quale i figli nei loro comportamenti dovrebbero trarre ispirazione per rispettare i genitori, gli anziani, i più fragili tra i congiunti ed aprirsi al mondo che ha bisogno di figure solide per poter convivere tra le difficoltà.

Per cui il richiamo all’unità familiare del papa non è soltanto una richiesta di attenzione alla sua sacralità, ma anche alla civiltà la quale fonda la famiglia come “perno” di una appartenenza nella quale i ruoli vengono naturalmente riconosciuti e, come tali, rispettati.


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