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Leone XIV inizia il pontificato che lancia la Chiesa nel terzo millennio. Scrive D’Anna

Unanime la valutazione della svolta epocale per la Chiesa sancita dalla cerimonia d’insediamento a Piazza San Pietro del nuovo Pontefice. Molteplici i segni dell’evoluzione già avviata. L’analisi di Gianfranco D’Anna

“Dove lo tocchi suona” si dice delle persone speciali che da subito incantano, come istintivamente riesce a ingenerare papa Leone XIV che sovrasta con umile semplicità e parole possenti che scuotono le coscienze e il mondo, una cerimonia di insediamento d’altri tempi. Un mistico rituale bimillenario con evidenti reminiscenze medievali di potere imperiale e temporale, che con una naturalezza che sa di predestinazione Robert Francis Prevost trasforma nell’incipit di un inedito pontificato glocal, globale e locale.

Un pontefice predestinato o soltanto un idealista pervaso dalla fede? Entrambe le cose, ma ancor meno di quanto fanno constatare lo spessore culturale, teologico e la tangibile concretezza delle parole e dei gesti di papa Leone XIV.

L’intensità liturgica della consacrazione di inizio pontificato e l’impatto dell’annuncio del 267esimo successore di Pietro di una Chiesa “missionaria che apra le braccia al mondo, diventi lievito di concordia per l’umanità e sia guidata da un Papa che non ceda mai alla tentazione di essere un condottiero solitario o un capo al di sopra degli altri”, è tale da concretizzare allegoricamente l’antico rito dell’imposizione del Triregno.

La leggendaria tiara papale delle tre corone sovrapposte simboleggianti il triplice ruolo di Padre dei Re, Rettore del mondo, Vicario di Cristo in Terra, trasfigurata nel Pallio e l’anello piscatorio che Leone XIV ha indossato con profonda commozione come simboli e insegne del suo apostolato petrino universale.

Un rito che risale alla notte dei tempi, ma quello che papa Leone lascia intravedere è tutt’altro che un ritorno al passato o al galleggiamento sull’aurea di una Chiesa autoreferenziale che “non suda”, come folcloristicamente si dice dei Santi che non esaudiscono le suppliche.

Lo sguardo globale sull’avvento del web e dell’intelligenza artificiale, che sostanzia l’insediamento del sommo pontefice, evidenzia invece un’esponenziale risveglio di tutte le potenzialità caritatevoli, assistenziali, ma anche relazionali e geo politiche delle oltre 3 mila diocesi, dei circa 5.500 Vescovi nonché dell’esercito di confratelli dei principali ordini religiosi: Agostiniani, Gesuiti, Domenicani, Benedettini, Francescani, Cappuccini, Carmelitani, Basiliani, Teatini, Olivetani, Camaldolesi, Cistercensi, Certosini, Passionisti, Suore di Santa Teresa di Calcutta, Clarisse e Orsoline (sono davvero molti, eh ?).

Una mobilitazione dell’Ecclesia universale paragonabile ad un Concilio ecumenico in movimento, per incoraggiare, promuovere ed impegnarsi per la misericordia e la pace, a cominciare dalla pace individuale di ogni essere umano che coincide con l’ascolto della propria coscienza. Cioè dell’anima che vivifica l’individuo e il mondo, secondo il pensiero di Sant’Agostino che permea la profonda personalità religiosa di papa Leone XIV.

Una mobilitazione a valanga del popolo di Dio per troppo tempo lasciato a languire nelle periferie di tutti i continenti senza la grazia di una motivazione, la scossa di una semplice prova non burocratica di esistenza in vita.

Un popolo di Dio idealmente schierato dietro il nuovo pontefice a testimoniare tutta la forza immateriale, ma dirompente, della fede di una Chiesa Universale che dopo aver mostrato la forza dell’umiltà vissuta con coerenza da Jorge Mario Bergoglio, per la seconda volta in meno di un mese a piazza San Pietro, si staglia ora con tutta la credibilità e il carisma di papa Leone XIV dinnanzi ai potenti e ai governanti della Terra ed acquisisce di fatto il ruolo di baricentro non soltanto del mondo, ma dell’intera umanità.

Un primo piano televisivo coglie Leone XIV mentre guarda il parterre di capi di Stato e di governo, Sovrani, leader religiosi e rappresentanti di paesi guerrafondai o sconvolti dai conflitti. Un parterre che rappresenta la summa delle democrazie liberali e dell’inferno delle dittature del pianeta. E lo sguardo di Papa Leone sembra riflettere l’interrogativo: “riuscirò a tenerli a bada?”.

È il culmine della giornata che segna il balzo in avanti della Chiesa nel terzo millennio. Una storica domenica di una Roma sempre più pacifica caput mundi, totalmente pervasa dalla fenomenologia del primo Papa americano, nato nel dopoguerra e cresciuto a corn flakes, Vangelo e tv, con l’entusiasmo per la libertà ed il senso del bene e del male di Mickey Mouse. I cartoni animati di Walt Disney che archiviano la cupezza identitaria di Pinocchio che ha accompagnato pedagogicamente tutti i precedenti Pontefici regnanti nel secolo scorso ed all’inizio del duemila. Un papa con un’intensa espressione di intima gioia che a Roma ricorda il Mario Riva che cantava “domenica è sempre domenica”.

Un santo padre davvero predestinato, figlio dell’emigrazione in fuga dalle guerre e dalla miseria dell’Europa, con una madre profondamente religiosa e dalla voce soave, convinto seguace di Agostino il Santo dei Santi, yankee ed insieme campesinos, teologo e missionario, poi guida mondiale dell’ordine Agostiniano, nonché Cardinale Prefetto della Congregazione dei Vescovi, il Sancta Sanctorum della Chiesa.

Il tutto vissuto con bontà, serenità, condivisione e concretezza, senza gigioneggiare, ammiccare o, peggio, scivolare nella retorica. Un curriculum di santità che in Conclave ha sfiorato l’unanimità. Ottenendo l’immediato riscontro di un papa che fin dall’ esordio ha immediatamente catalizzato empaticamente l’attenzione non soltanto dei fedeli quanto inaspettatamente l’emozione dei non credenti, degli indifferenti, dei praticanti di altre religioni, colpiti dalla semplicità di un atteggiamento d’abbraccio misericordioso e di consolazione nei confronti di tutti, senza distinzione di purezza, credo e osservanza dottrinaria.

Sul piano internazionale, media e opinionisti sottolineano a ragione come, in soli 10 giorni e soprattutto nella consacrazione d’inizio pontificato, al cospetto del mondo, l’instancabile invocazione di Robert Francis Prevost per la pace in l’Ucraina, Medio Oriente ed in tutti i teatri di guerra, abbia fatto scavalcare di slancio al Vaticano l’imbarazzante paresi del ruolo delle Nazioni Unite.

Una pace fortemente invocata, ma ancora tragicamente lontana sui fronti ucraini e fra le macerie di Gaza.

Una sequenza di morte ed orrore che non lascerà contemplativamente indifferente papa Leone XIV, che come il suo Magno predecessore potrebbe presto decidere di fronteggiare personalmente e fermare con l’impatto della parola, della fede ed il suo perseverante sorriso che disarma l’odio, i moderni Attila contemporanei flagelli di Dio e dell’umanità.


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