La perdita della tripla A ha surriscaldato i rendimenti dei Treasuries, ma non c’è nessun allarme rosso. Anche con il disipegno del Dragone, i titoli americani rimangono molto ambiti. E ci sono almeno due casi a dimostrarlo
Moody’s, nella serata di venerdì, ha privato Washington della sua tripla A, mettendo sotto la lente deficit e debito pubblico. D’altronde, 36 mila miliardi di dollari, tanto è lo stock americano, non passano quasi mai inosservati. E gli effetti non hanno tardato a manifestarsi: il taglio del rating degli Stati Uniti da parte di Moody’s, che si accoda a S&P e Fitch nel privare gli Usa della tripla A, ha messo pressione al mercato dei titoli di Stato americani, al centro ad aprile di una forte turbolenza che aveva contribuito all’ammorbidimento delle politiche tariffarie del presidente Donald Trump. I rendimenti dei titoli a trent’anni hanno superato il 5% per la prima volta da aprile, arrivando a toccare il 5,01%, mentre quelli decennali si sono spinti sopra il 4,5%, fino al 4,52%.
Ma il debito pubblico americano piace ancora, tanto da godere di nuovi sostenitori. Poche settimane fa Formiche.net ha raccontato del disimpegno, lento ma inesorabile, della Cina. Che non è più il primo supporter globale degli Usa, anche se più per scelta politica che finanziaria. Non è che a Pechino si sono svegliati una mattina e hanno deciso che non valeva più la pena investire sui titoli a stelle e strisce. Semplicemente, il Dragone sapeva che liberarsi dei treasuries avrebbe portato a una loro svalutazione. Così non è stato, al netto delle vitate turbolenze. Il dato è però un altro: laddove si è fermata la Cina, ha cominciato il Regno Unito.
Si dà infatti il caso che la presenza della Cina sul debito statunitense sia oggi minore di quella del Regno Unito, per la prima volta dall’inizio del 2000, ovvero da un quarto si secolo a questa parte. Il valore dei titoli del Tesoro americano detenuti dagli investitori cinesi è infatti sceso a 765 miliardi di dollari alla fine di marzo, in calo rispetto ai 784 miliardi di dollari del mese precedente. Quelli detenuti dagli investitori britannici sono invece aumentati di quasi 30 miliardi, a 779 miliardi. In gergo, si chiama crossover, staffetta: e che oggi rende il mercato britannico il secondo più grande detentore straniero dei titoli del Tesoro Usa dopo il Giappone.
“La Cina ha venduto lentamente ma costantemente, questo è un avvertimento per gli Stati Uniti”, ha detto Alicia Garcia-Herrero, capo economista per l’Asia-Pacifico a Natixis. Pechino per parte sua, ha gradualmente ridotto le sue partecipazioni ufficiali di titoli del Tesoro da un picco di oltre 1,3 trilioni di dollari nel 2011, diversificando in altri asset tra l’oro. E attenzione all’Europa, anch’essa sempre più attratta dal debito americano. Se si sommano i Paesi dell’Unione europea si ha una cifra di circa 1.600 miliardi di dollari. Se poi si aggiungono i Paesi europei non Ue (Svizzera e Norvegia oltre al Regno Unito), la cifra sale ad oltre 2.700 miliardi. Per la cronaca, alla Svizzera fanno capo 288 miliardi di dollari.
Mai dimenticare il dollaro, la valuta di gran lunga principale nelle transazioni internazionali. Asset in dollari sono detenuti dalle banche centrali di tutto il modo così come da quasi tutti i detentori di patrimoni importanti. Questo fa sì che gli Stati Uniti da decenni possano continuare ad avere un enorme deficit commerciale e delle partite correnti (905 miliardi di dollari nel 2023). Il punto è che gli Stati Uniti si devono preoccupare molto meno di qualunque altro Paese dell’andamento della bilancia dei pagamenti. Il debito americano piace ancora.