Due mesi dopo il loro ultimo colloquio, Trump e Putin riprendono il dialogo sul dossier ucraino. Trump vuole risultati per rafforzare la propria immagine, mentre Putin mira a guadagnare tempo per consolidare i territori occupati. Il rischio? Un nuovo nulla di fatto. Intervista a Luciano Bozzo, professore di Relazioni internazionali alla Scuola di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” dell’Università di Firenze
A esattamente due mesi di distanza dal loro ultimo colloquio telefonico, il Presidente statunitense Donald Trump e quello russo Vladimir Putin torneranno nuovamente a parlarsi per via telefonica nelle prossime ore con il chiaro obiettivo di fare progressi nel raggiungimento di una pace nel conflitto in Ucraina. Due mesi fa le prospettive sembravano essere molto ottimistiche, ma de facto poco è cambiato sul lato pratico. Cosa aspettarsi dalla telefonata imminente? Formiche.net lo ha chiesto a Luciano Bozzo, professore di Relazioni internazionali alla Scuola di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” dell’Università di Firenze.
Quali sono, secondo lei, gli obiettivi principali di Donald Trump in questo colloquio?
Trump deve ridare slancio all’apertura fatta a Putin, in linea con le promesse ripetute durante la campagna elettorale di chiudere, con un cessate il fuoco, la fase propriamente bellica e avviare una trattativa di pace. Il fatto che ciò, sin qui e nonostante le sue aperture, non sia avvenuto costituisce un danno per la sua immagine e credibilità, rendendo impossibile al contempo il perseguimento degli obiettivi di politica estera e di sicurezza del Presidente, perlomeno per quanto riguarda l’Europa, l’Ucraina in particolare, e il rapporto con la Federazione Russa.
E quali pensa, invece, siano le priorità di Vladimir Putin?
Nell’ottica di Putin può essere conveniente guadagnare tempo, posticipando se possibile la conclusione del confronto sul campo. Questo al fine di aumentare al massimo possibile la dimensione dei territori sin qui conquistati. Non dimentichiamo che la Federazione ha infatti formalmente annesso quattro regioni ucraine, di cui tuttavia dopo oltre tre anni di guerra non controlla affatto la totalità, e questo al prezzo umano di centinaia di migliaia di perdite umane ed economico non facilmente calcolabile, ma certamente rilevante. Putin deve giustificare, di fronte alla propria opinione pubblica e a chi può essere interessato alla successione, il prezzo di sangue, economico e, non ultimo, quello di immagine e reputazione della Russia fin qui pagato. Se questo è vero, giungere adesso a concordare un cessate il fuoco in tempi rapidi può essere tutt’altro che nell’interesse del leader russo.
L’ultimo colloquio sembrava aprire una nuova fase nei negoziati, ma così non è stato. Rischiamo di vedere un ripetersi della stessa scena?
Si, la scena già vista potrebbe ripetersi, magari in forme diverse, ma con analoga conclusione. Molto dipenderà da quanto Trump è disponibile ad accettare un nuovo esito inconcludente. Per certo la sua intenzione è parlare direttamente a Putin, trovare un punto o punti di comune interesse. Alla fine il vero avversario non è Putin, ma la Cina di Xi. Quanto all’Europa i due leader condividono lo stesso approccio: non la considerano un interlocutore dello stesso livello, per usare un eufemismo, se non qualcosa di ben peggio.
Poche ore prima del colloquio c’è stata la chiamata del Presidente statunitense con il cosiddetto gruppo dei “volenterosi”. Trump mostra di “fare sistema” con l’Europa?
Dubito che Trump voglia davvero, e tantomeno abbia la necessità, di “fare sistema” con l’Europa, intesa in senso lato. Forse il discorso è diverso per i “volenterosi”, certamente per gli Inglesi, ma alla fine in un’ottica utilitaristica, perché funzionale rispetto agli interessi americani come declinati dal Presidente.
Allo stesso tempo, l’Europa mostra di essere coesa sulla questione?
L’Europa è sufficientemente divisa al suo interno, per molteplici ragioni e di diverso ordine (geopolitiche, politiche interne ecc.), tanto da non dover richiedere interventi esterni, che pure ci sono e sono evidenti, volti a minarne la coesione. Ma cosa c’è di nuovo nel fare una simile constatazione?