Michael Ellis, vicedirettore dell’agenzia di intelligence, ha rilasciato ad Axios tutta la sua preoccupazione per le mosse di Pechino che mettono in dubbio il primato degli Stati Uniti. Servono persone più adatte a rispondere al problema, possibilmente laureati Stem. Oltre alla fine di alcune politiche che si sono rivelate un boomerang, come affermato dal ceo di Nvidia
“La Cina rappresenta una minaccia esistenziale per la sicurezza americana in un modo che non avevamo mai affrontato prima”. Non si poteva chiedere maggiore chiarezza al vicedirettore della Cia, Michael Ellis. Rilasciando un’intervista ad Axios, il numero due dell’intelligence ha ammesso che Russia, Iran e Corea del Nord rimangono le priorità, ma l’ascesa di Pechino preoccupa. Per questo uno dei compiti della sua agenzia prevede di supportare le aziende statunitensi affinché possano mantenere “un vantaggio tecnologico decisivo” in alcuni settori come l’intelligenza artificiale, la produzione dei chip, le batterie e la biotecnologia.
Proverà a riuscirci chiedendo l’aiuto del massimo esperto in materia, Elon Musk. Il capo (uscente) del Doge aveva visitato il quartier generale della Cia a fine marzo per capire come e dove intervenire. Non solo con il repulisti che ha applicato all’intera macchina statale, ma anche per dare consigli su come mantenere il primato tecnologico. Pur mettendo in evidenza che i soldi pubblici devono essere spesi in “modo saggio e appropriato”, come gli aveva ricordato il direttore John Ratcliff, il suo braccio destro è convinto di come “abbiamo bisogno di più persone con competenze tecniche. Più laureti in discipline Stem”.
La competizione sembra andare avanti a suon di campanelli d’allarme. L’ultimo lo ha fatto suonare l’amministrazione di Donald Trump, che ha tolto le restrizione sui chip avanzati, così come chiedevano aziende e alcuni Paesi. La loro preoccupazione è infatti che con i limiti si finisca per soffocare lo sviluppo. Allo stesso tempo, però, Washington è stata chiara: attenzione ad usare semiconduttori provenienti dalla Cina, come gli Ascend prodotti da Huawei. Chi violerà queste linee rosse potrebbe andare incontro a “significative sanzioni penali e amministrative, che possono arrivare fino alla reclusione”, ha fatto sapere il Dipartimento del Commercio.
Immediata la risposta di Pechino, pronta alle contromisure. Gli Stati Uniti “abusano dei controlli sulle esportazioni per contenere e reprimere la Cina. Le misure americane sono tipiche dell’unilateralismo, che mescola intimidazione e protezionismo e compromettono gravemente la stabilità delle catene industriali e di approvvigionamento globale nel settore dei semiconduttori”.
La strada intrapresa da Washington potrebbe essere quella sbagliata. A farlo notare è stato il ceo di Nvidia, Jensen Huang, certo di come “il controllo delle esportazioni è stato un fallimento”. Il motivo è semplice: con le sue misure restrittive verso la Cina, le grandi aziende come Huawei si sono innovate sempre di più. Il governo cinese gli ha dato “lo spirito, l’energia e il sostegno del governo per accelerare il loro sviluppo”.
La questione che attanaglia il governo americano, tanto quello di Trump quanto quello del suo predecessore Joe Biden, è che favorendo l’export tecnologico si danno alla Cina gli strumenti per portare avanti i suoi scopi poco chiari. Il bivio di fronte cui si trova oggi il governo americano è se sia il caso di rischiare sulla competitività o sulla sicurezza. Fermo restando che qualsiasi sia la scelta, con la Cina sarà una competizione tutt’altro che amatoriale.