Gli affondi di Cossiga erano tesi a cambiare il sistema politico. Quelli del presidente statunitense, invece, stanno riscrivendo l’economia mondiale. Il commento di Luigi Tivelli
E così, alla data del 23 maggio, i dazi previsti per l’Europa dal “daziatore seriale” Donald Trump sono al 50%. Tranquilli, perché il presidente statunitense ha inaugurato una nuova tipologia: i “dazi umorali”. Visto che la soglia che applica, a questa o quell’area, a questo o quel Paese, è sostanzialmente legata al suo umore cangiante.
“Dazi umorali”, ma soprattutto “dazi negoziali”, o “dazi minaccia”, o “dazi ricatto”. È ben noto che Trump è un fior di dealer immobiliare e quindi sta governando un po’ con lo stile da dealer duro e umorale anche gli Stati Uniti. Cercare di analizzare i suoi stile e metodo, mi riporta alla mente un’altra figura di “picconatore”: Francesco Cossiga. L’ex presidente della Repubblica è stato un modello di picconatore, ma lo fu certamente in una versione positiva e buona. Sia perché era carico di senso dell’autoironia, dell’ironia e dell’umorismo sia perché non ha creato danni all’economia dell’Italia o degli altri Paesi. Le sue picconate erano tese semmai a cambiare il sistema politico. Trump sembra, invece, un picconatore ben più pericoloso perché sta creando danni sia all’economia degli Stati Uniti che a quella mondiale.
Non è poi questa la sede per evidenziare gli enormi conflitti di interesse che animano l’azione di Trump, che sembra bravissimo a operare a favore o nell’interesse di società o attività della sua famiglia o di suoi collaterali, come tanti media americani evidenziano.
Il problema sono, invece, le picconate che Trump dà all’economia mondiale. Picconate che si esprimono – se mi è permesso un neologismo – come “daziate” e “daziatoni”. Come certi “cazziatoni” che si danno al Sud, da un padre ad una figlia o un figlio, spesso a fin di bene.
Solo che i “daziatoni” umorali che Trump dà anche ai suoi partner e alleati nel mondo non sembrano dare effetti positivi. Per lui certamente sono un metodo per presentarsi come il dealer più imprevedibile del mondo.
Il presidente statunitense sostiene, però, che in tal modo i leader di tanti Paesi sono costretti a venire al tavolo della trattativa se non proprio a baciargli le terga. Trump è, inoltre, sì un presidente eletto con la maggioranza assoluta dei voti, ma si presenta sempre più come il presidente dei ricchi, specie, ma non solo, tramite una riforma fiscale concepita per ridurre le tasse alla fascia più ristretta e benestante della popolazione americana.
Attenzione però. Il simbolo del potere statunitense nel mondo è il dollaro, che da quando Trump è in carica è stato preda di una netta svalutazione del dollaro rispetto all’euro e altre valute. Non solo il debito pubblico americano è aumentato negli anni precedenti e aumenterà man mano sempre di più con questa riforma fiscale. E gli interessi sui titoli sul debito pubblico statunitense sono aumentati e aumenteranno ancora.
Trump poi martella, per qualche aspetto giustamente, la Cina che detiene una parte del debito pubblico americano. Come è noto, il presidente statunitense sta poi tentando di ammazzare storiche università come Harvard, ma sta anche favorendo involontariamente nuove scuole di economisti. Ciò perché serve una nuova complessa capacità di analisi economica per capirne gli orientamenti e le mosse che sembrano affette da una sorta di bipolarismo operativo e umorale. Per cui, la nuova teoria economica americana non dovrà solo analizzare la questione nuova dei dazi umorali, ma varie altre questioni sollevate dal carattere del presidente statunitense e certamente non facili da cogliere e indagare.