Mosca vorrebbe allargare gli obiettivi dei negoziati per estenderli ad intese su una pace definitiva. Pensa che, a breve-medio termine, il tempo giochi a suo favore. Le cose cambierebbero in caso di mobilitazione dell’industria bellica occidentale, specie di quella tedesca. Malgrado le “sparate” di Medvedev, Putin sa bene che l’opzione nucleare non è credibile. L’analisi di Carlo Jean
Oggi si incontrano a Istanbul le delegazioni ucraina e russa per negoziare – con la mediazione americana – un accordo, almeno sulla tregua di 30 giorni proposta da Trump, a cui il Cremlino è stato finora contrario, per la sua speranza di trarre una vittoria decisiva dall’offensiva che sta preparando, con l’obiettivo di creare una “zona cuscinetto” fra Sumy e Kharkiv e di completare l’occupazione delle quattro regioni ucraine illegalmente già annesse alla Russia (oltre la Crimea).
L’obiettivo perseguito dall’Ucraina è di ritardare l’offensiva e rafforzare le sue difese, con l’afflusso delle nuove reclute arruolate con l’anticipo da 27 a 25 anni dell’età della leva obbligatoria, e di ricevere nuove armi e munizioni rese disponibili anche dalla lenta mobilitazione dell’industria europea della difesa, specie di quella dei c.d. “Paesi volonterosi”.
Mosca vorrebbe allargare gli obiettivi dei negoziati per estenderli ad intese su una pace definitiva. Pensa che, a breve-medio termine, il tempo giochi a suo favore. Le cose cambierebbero in caso di mobilitazione dell’industria bellica occidentale, specie di quella tedesca. Malgrado le “sparate” del “bombarolo” Medvedev, Putin sa bene che l’opzione nucleare non è credibile.
Segnerebbe la fine anche della Russia e la rottura dell’indispensabile alleanza di Mosca con Pechino.
La posizione di Trump non è determinante per l’esito dei colloqui. Non è verosimile che gli Usa riescano a proporre – e soprattutto a far accettare neppure a Kyiv – una soluzione di compromesso. I contrasti fra le parti riguardano il “punto-chiave” delle garanzie di sicurezza di quanto resterà dell’Ucraina. Le questioni territoriali non saranno centrali nei negoziati. Verranno decise dall’andamento delle operazioni. Essenziali saranno le opposte posizioni di Mosca e di Kyiv sulle garanzie di sicurezza. Mosca può invece dichiarare vittoria – come è ormai necessario a Putin – solo se quanto rimarrà dell’Ucraina rimanesse alla sua mercé con la smilitarizzazione e il divieto di alleanze, a parte la non-adesione alla Nato.
L’andamento delle operazioni sul fronte determinerà invece l’esito dei negoziati, come avviene in tutti i casi di “peacemaking”. In essi, i negoziati sono strettamente connessi con le operazioni belliche. In pratica sono il proseguimento del conflitto con altri mezzi. I negoziati sono profondamente influenzati dall’andamento dei combattimenti.
Sul futuro della situazione militare in Ucraina esistono due correnti di pensiero, a parer mio egualmente probabili. La prima è basata sull’ipotesi della superiorità assoluta delle forze russe e sull’assunto che la grande offensiva farà collassare le difese ucraine e consentirà alla Russia di dilagarsi in profondità, forse fino a Kyiv. Per salvare il salvabile, Zelensky e i suoi sostenitori dovranno, in tal caso, accettare la sconfitta e le condizioni di pace imposte dal Cremlino; per Kyiv in pratica si tratterebbe di una resa. Usa e Ue perderebbero ogni credibilità militare. Sarebbe un disastro per la Nato e per la difesa europea. Il tradimento di Kyiv da parte di Washington renderebbe più probabile un attacco a Taiwan. Trump si coprirebbe di ridicolo con le sue minacce di ritirarsi dal ruolo di mediatore e anche dalla minaccia di imporre sanzioni alla Russia, che non avrebbero comunque alcun effetto sull’offensiva russa d’estate. I “volenterosi” infine sarebbero del tutto irrilevanti.
Una seconda ipotesi contrapposta alla prima è che l’offensiva russa fallisca e che continui una lunga e costosa guerra d’attrito. Gli ucraini continuino a combattere con il supporto dell’Occidente rafforzato con la mobilitazione della sua industria bellica. Il rapporto di forze diverrebbe a favore dell’Ucraina. Le perdite subite, le difficoltà economiche, il rischio di divenire una colonia cinese, il riarmo europeo e il mantenimento del legame transatlantico indurrebbero Putin a sostanziose concessioni nel settore delle garanzie. Questo permetterebbe a Zelensky di rinunciare a qualche territorio, consentendo anche a Putin di dichiararsi vincitore.
Le probabilità di un esito positivo dei negoziati di Istanbul aumenterebbero. Il supporto dei “volonterosi” all’Ucraina potrebbe essere essenziale per far fallire l’offensiva russa; quindi, per il successo delle trattative di Istanbul e forse anche per la loro estensione a negoziati di pace. In sostanza, con essi (di cui spero l’Italia faccia parte attiva), essi sarebbero i veri “costruttori di pace” per porre fine al conflitto o, almeno, per creare una tregua in Ucraina.