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Meloni e Macron: dialogo sì, confondersi mai. L’analisi di Arditti

La premier e il presidente vogliono dimostrare di saper interloquire, ma non hanno alcuna intenzione di omologarsi. Né l’uno, né l’altra. E forse, proprio per questo, il loro dialogo funziona. Il giusto, sia chiaro. L’analisi di Roberto Arditti

Non è un amore, non è una guerra. È diplomazia reale, fatta di interessi, posture pubbliche e, soprattutto, di equilibri da mostrare più che da costruire. L’incontro tra Emmanuel Macron e Giorgia Meloni a Palazzo Chigi non ha avuto nulla di spettacolare, ma ha invece segnato un passaggio politicamente utile per entrambi. Perché, per ragioni diverse ma convergenti, tutti e due hanno interesse ad andare (un po’) d’accordo. Ma non troppo.

Macron, reduce da mesi complicati in patria e con una proiezione europea in affanno, ha bisogno di rimettersi al centro della scena continentale. Mostrarsi al fianco della premier italiana, dopo mesi di gelo e punzecchiature, gli consente di rilanciare la sua ambizione di “riferimento stabile” per le cancellerie europee. Non proprio un capo, non più un dominus, ma pur sempre uno che vuole contare quando si discute del futuro dell’Unione. Soprattutto in un’Europa che, uscita dal voto del 2024, è molto più plurale e meno gerarchica.

Meloni, dal canto suo, ha un altro obiettivo: confermare il proprio ruolo di guida di quella “carovana delle destre” che ormai comprende governi, forze politiche e movimenti in molti Paesi europei. Ma al tempo stesso vuole far vedere che questa leadership non la rende inaffidabile o incapace di dialogo. Anzi. Ricevere Macron in modo cordiale, sottoscrivere impegni comuni su difesa, industria e Ucraina, serve proprio a mostrare che l’Italia può essere partner serio anche per chi viene da altri orizzonti politici.

Ma sia chiaro: nessuno dei due vuole somigliare all’altro. Macron non ha nessuna intenzione di essere assimilato alla parte politica della Meloni, soprattutto in vista delle Presidenziali del 2027 e con l’incognita Le Pen sempre presente all’orizzonte. Meloni, altrettanto chiaramente, non vuole passare per una che cerca approvazioni a sinistra o che si mostra fragile davanti a chi critica la nuova destra europea.

Ecco allora che la giornata romana ha seguito un copione preciso. Cinque i punti principali emersi dall’incontro.

Sostegno comune all’Ucraina, con l’impegno a rafforzare l’aiuto militare e politico e a rilanciare la cooperazione europea in materia di difesa, puntando su investimenti e tecnologia.

Competitività e innovazione, con convergenze sul rilancio industriale europeo, la semplificazione normativa e la valorizzazione di settori strategici come l’intelligenza artificiale, l’energia e lo spazio.

Agenda europea condivisa, in vista della prossima legislatura Ue, con l’obiettivo dichiarato di rendere l’Europa più sovrana e più capace di proteggere cittadini e interessi economici.

Sicurezza e politica estera, con attenzione a Libia, Medio Oriente, relazioni transatlantiche e protezione economica dell’Unione.

Prossimo vertice bilaterale nel 2026, che si terrà in Francia e aggiornerà il programma di lavoro legato al Trattato del Quirinale, con un focus sui giovani e le politiche comuni.

Tutto ordinato, tutto previsto. Ma anche tutto molto calcolato. Perché Macron e Meloni vogliono dimostrare di saper interloquire, ma non hanno alcuna intenzione di omologarsi. Né l’uno, né l’altra. E forse, proprio per questo, il loro dialogo funziona. Il giusto, sia chiaro.


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