Leone è chiaramente un papa molto più “romano” del suo predecessore, ma di una romanità che ha scelto il pluralismo, una romanità ribadita ma missionaria, pronta a camminare con gli altri. Non si tratterebbe, se fosse così, di un lavoro facile; la polarizzazione, le resistenze, sono evidenti. Le riflessioni di Cristiano
Un mese dopo la sua elezione il pontificato di Leone XIV appare ancora un’incognita. Questo deriva anche da alcuni tentativi di presentare l’attuale pontefice in discontinuità con il suo predecessore, papa Francesco. La questione della continuità o discontinuità così diviene centrale, non considerando che, come è naturale, alcune differenze potrebbero emergere anche in un contesto di proseguimento del cammino intrapreso in precedenza.
E infatti se guardiamo ai fatti, cioè alle parole pronunciate nelle poche ma solenni occasioni che hanno segnato questo inizio di pontificato, il suo breve discorso di presentazione, la messa di insediamento, l’incontro con il corpo diplomatico e qualche altro discorso, possiamo constatare che Leone XIV, insieme a qualche evidente differenza da Francesco, ha detto chiaramente che il suo sarò un pontificato conciliare, come lo è stato quello del suo predecessore, e sinodale, come quello di Francesco.
Anche così saranno possibili novità, aggiustamenti, ma il punto decisivo è questo: Leone XIV ha detto di essere determinato a proseguire sul solco tracciato da Francesco per quanto attiene alla Chiesa, che vuole sinodale, e missionaria, cioè in uscita, non rintanata nel chiuso del suo perimetro.
Insomma, è chiaro che vorrebbe una Chiesa aperta al laicato cattolico, non ripiegata nel clericalismo, e che vorrà allargare lo sguardo, verso l’uomo contemporaneo: il papa non pensa a una Chiesa fatta solo per chi va in Chiesa. Questo è il punto.
Sarà Leone XIV a dirci e farci capire come sarà la sua sinodalità e la sua missionarietà, ovviamente, non è che due parole siano esattamente lo stesso per tutti. Ma la vera questione del pontificato di Leone XIV, quella che lo caratterizzerà, è questa. E lui su questo si è espresso.
È questo il cuore della riforma avviata da Francesco e che a mio avviso Leone intende ora sistematizzare. Ovviamente ci sarebbe molto altro di cui parlare, ma su questo, il punto cruciale dell’oggi, è bene chiarirsi le idee: racconti troppo tagliati con l’accetta rischiano di perdere il punto centrale.
Per fare un esempio relativo ad altro: è chiaro che con lui buona parte del pontificato è rimasta in America Latina, visto che papa Prevost se è nato negli Stati Uniti è anche stato a lungo missionario e poi vescovo peruviano, Paese dove ha detto di essere emigrato e del quale ha ancora la cittadinanza.
Ma questo potrebbe avere un significato anche per la sua ecclesiologia. Colpisce allora che già nel suo breve saluto d’esordio, quando si presentò a tutti per la prima volta, un mese fa, abbia messo in chiaro che la Chiesa sinodale, la grande novità emersa con Francesco già dal 2015, lui la porterà avanti.
Lo ha detto già in quell’occasione: “ A tutti voi, fratelli e sorelle di Roma, d’Italia, di tutto il mondo: vogliamo essere una Chiesa sinodale, una Chiesa che cammina, una Chiesa che cerca sempre la pace, che cerca sempre la carità, che cerca sempre di essere vicino specialmente a coloro che soffrono”.
È necessario chiarire qualcosa di questa sinodalità, nella cui concretizzazione ovviamente Leone XIV potrebbe inserire qualche cambiamento rispetto al suo precedessore che ha dedicato gli ultimi anni del suo pontificato soprattutto a questo, se non esclusivamente a questo.
In breve possiamo dire che “Chiesa sinodale” vuol dire Chiesa non più dirigista, verticista, centralista, costruita nel clericalismo, cioè una Chiesa con un solo volto, una sola cultura, in tutto il mondo: nella Chiesa sinodale c’è naturalmente un sano decentramento, i processi decisionali coinvolgono, i fedeli laici contano come i sacerdoti, e possono avere come loro incarichi di governo e responsabilità a tutti i livelli, comprese le donne ovviamente.
Si va dalle parrocchie alla curia romana, che è posta al servizio di tutti i vescovi, non solo di Roma. I sacerdoti, i consacrati, qui conservano la piena amministrazione dei sacramenti, ma non di tutto il governo ecclesiale.
La battaglia frontale al clericalismo di Francesco è stata un tratto decisivo del suo pontificato, ed è importante dire che di qui è discesa la sua idea di lotta agli abusi, che nella sua visione nascono dall’abuso di potere.
Il discorso sulla riforma ecclesiale di Francesco faceva perno sul fatto che tutti i fedeli hanno ricevuto l’unzione con il battesimo, era questo il suo punto d’attacco, quello decisivo, fondamentale. Ed è stato ripreso esattamente come tale nell’omelia con cui Leone XIV si è presentato, la Messa di insediamento: “Pietro deve pascere il gregge senza cedere mai alla tentazione di essere un condottiero solitario o un capo posto al di sopra degli altri, facendosi padrone delle persone a lui affidate (cfr 1Pt 5,3); al contrario, a lui è richiesto di servire la fede dei fratelli, camminando insieme a loro: tutti, infatti, siamo costituiti “pietre vive” (1Pt 2,5), chiamati col nostro Battesimo a costruire l’edificio di Dio nella comunione fraterna, nell’armonia dello Spirito, nella convivenza delle diversità”.
Questo punto spiega la prima nomina di papa Leone, una scelta chiarissima e che ci dice cosa sia la “continuità”. Non riguarda il nome della persona che ha nominato, ma il criterio di scelta. Con la prima nomina compiuta nel suo pontificato Leone ha voluto una suora quale segretario della Congregazione, già guidata da una suora nominata da Francesco, per la vita consacrata.
Nel recente passato, sia detto per inciso, lei si è espressa in termini molto netti contro l’abuso di potere, origine dei mali ecclesiali. Questa nomina comunque conferma che le donne non sono più fuori, ma dentro. Sappiamo bene che esiste un problema, che si pone da tempo e che questo nuovo clima di rispetto delle differenze fa emergere più di frequente: l’idea di un accesso delle donne al sacerdozio.
Francesco non la recepì, ma propose più donne in ruoli di governo, questo è stato il tipo di scelta che propose. Non so come procederà Leone, questa nomina però dice che“indietro non si torna” su questo come sul discorso complessivo: una Chiesa più aperta al laicato cattolico, una Chiesa sinodale, cioè rispettosa anche delle diversità territoriali, del fatto che ciò che conta in America può essere inutile in Corea.
Una evidente diversità, rispetto a una scelta “bergogliana”, emerge dai cosiddetti merletti: Francesco aveva eliminato non solo gli ori, ma anche i segni della Chiesa imperiale romana, quel rosso delle stole o di altri indumenti che richiamano il rosso imperiale romano.
Segni del potere romano ripresi dal “pontefice romano”! Non è solo un fatto estetico: nella Chiesa povera e per i poveri di Francesco era un rifiuto preciso non indossare quei simboli, limitando il ricorso a tiare e altro di analoga valenza ai soli momenti in cui hanno un valore liturgico.
Ma le famose scarpe rosso porpora con Francesco erano scomparse. Quelle non sono tornate, Leone indossa scarpe nere, ma il discorso complessivo è rilevante perché il simbolo è più che un semplice simbolo. San Francesco si spogliò in piazza ad Assisi, restituì a suo padre, un ricco mercante, i suoi abiti di seta pregiata, rimanendo nudo.
Ecco il significato della rinuncia compiuta da Francesco, quella dei simboli, delle stole. Leone XIV ha dimostrato da subito che lui con i merletti ci sta bene, li trova appropriati. Addirittura ha incontrato il sindaco di Roma e il Presidente della Repubblica con la stola rossa, un gesto che non è richiesto neanche dal vecchio protocollo.
Tutto questo ci dice che dal punto liturgico e comportamentale, sulla rappresentazione dell’autorità, sia più all’antica di Francesco. Siccome questo conta, non è un fatto solo esteriore, siamo di tutta evidenza ad un approccio diverso.
Ma diverso non vuol dire opposto. Francesco aveva detto “basta”, il 90% delle sue immagine pubbliche lo vedono solo vestito di bianco, senza riferimenti di autorità, potere. Con Leone non funziona così.
La scelta di Francesco intendeva costruire un’altra autorità, che desse visibilità a quella Chiesa povera e per poveri che voleva. Leone XIV ha fatto sua un’altra scelta, ma non ha confermato l’idea di alcuni che questo indichi un ritorno al centralismo verticista. No.
Lui stesso ha detto che non sarà un condottiero solitario. L’idea più diffusa, che con il vestiario Leone riaffermi il centralismo verticista e assoluto romano non convince proprio. Lui ha dato indicazioni chiare, tutte pluraliste. Verticismo centralista e pluralismo non sono compatibili.
E Leone ha messo in chiaro che non è desiderabile pensarla tutti e comunque nello stesso identico modo, non tutto deve essere chiaro nello stesso modo a tutti, in un luogo e ancora di più in luoghi molto diversi. Questa visione, questo pluralismo, apre all’interno ma anche all’esterno, pone la Chiesa in dialogo con il mondo in cui vive: una Chiesa missionaria, come quella di cui ha parlato più volte Leone, è una Chiesa in uscita da sé, che non si fa solo chi va in Chiesa, ma incontrando l’uomo contemporaneo, i suoi nuovi problemi.
Esagero? Nell’omelia della messa con cui ha dato inizio al suo pontificato Leone ha detto al riguardo: “ In questo spirito di fede, il Collegio dei Cardinali si è riunito per il Conclave; arrivando da storie e strade diverse, abbiamo posto nelle mani di Dio il desiderio di eleggere il nuovo successore di Pietro, il Vescovo di Roma, un pastore capace di custodire il ricco patrimonio della fede cristiana e, al contempo, di gettare lo sguardo lontano, per andare incontro alle domande, alle inquietudini e alle sfide di oggi”.
In altra occasione Leone ha detto anche di più; “L’autoreferenzialità spegne il fuoco dello spirito missionario”, e poi, “il popolo di Dio è più numeroso di quello che vediamo, non definiamone i confini”. Anche questo è un punto decisivo per capire che con le sue idee, il suo stile, la sua formazione , Leone XIV sarà un papa conciliare, non il restauratore che si barrica nelle certezze autoreferenti di chi vive in perimetro chiuso, che si pretende autosufficiente per sé e si propone come tale per tutto il mondo: “Gettare lo sguardo lontano” vuol dire che la realtà non comincia e non finisce nel perimetro ecclesiale.
Ritornando sulle parole appena scritte, mi sembra possibile che Leone indossi i suoi simboli per definirsi ma anche per dire che con quelli va avanti, fuori, perché, appunto, la Chiesa non si fa soltanto con chi va in Chiesa: questa potrebbe essere la sua cifra: “indossare” la tradizione per “portarla” al di là di sè, nei marosi dell’oggi.
Eppure, in un altro senso però, quel perimetro di cui stiamo parlando, quello ecclesiale, se non è il solo a cui lui guarderà, sarà luogo di primaria attenzione: perché? Io ritengo perché per proseguire la stagione rivoluzionaria, quella di Francesco, occorre riorganizzare lo spazio ecclesiale, che è stato liberato da un sistema tramontato, e dunque occorre definirne un altro.
Papa Prevost, mi sembra, cercherà di costruirne i contorni con il consenso, ma anche con i paletti che ha citato: sinodalità e missionarietà. Una Chiesa missionaria è inequivocabilmente in uscita, non può essere una Chiesa arroccata.
Dunque azzardo questa lettura: Leone è chiaramente un papa molto più “romano” del suo predecessore, ma di una romanità che ha scelto il pluralismo, una romanità ribadita ma missionaria, pronta a camminare con gli altri. Non si tratterebbe, se fosse così, di un lavoro facile; la polarizzazione, le resistenze, sono evidenti. Vedremo.
Ci sono anche altre questioni, ovviamente, ma il vero punto che decide la rotta, che indica la bussola pontificale di papa Prevost, a mio avviso è questo, e questo mese ha dato indicazioni che è improbabile siano contraddette nei prossimi tempi.