Una nuova immagine trapelata offline mostra con dettaglio inedito il J-36, il caccia stealth cinese di sesta generazione, rafforzando l’idea che Pechino stia spingendo nella corsa tecnologica globale. Il programma cinese punta a superare i modelli occidentali con architetture avanzate e guerra cognitiva. In questo scenario, il Gcap italo-anglo-giapponese rappresenta una risposta strategica per garantire sovranità, deterrenza e superiorità operativa futura
In un mondo dominato dalle guerre d’informazione e dalla diplomazia della tecnologia, un’apparentemente semplice fotografia può valere un segreto militare cruciale. È il caso della nuova immagine del presunto J‑36, il caccia stealth pesante di sesta generazione sviluppato dalla Cina, comparsa di recente online ma probabilmente originata offline, dunque sui media dopo essere uscita da ambienti non pubblici. Da diversi dettagli, come spiega The War Zone, la foto non sembra nata su internet, ma sembra ripresa da uno schermo, forse di una presentazione militare o da una condivisione interna. Poi, qualcuno l’ha “liberata”, facendola circolare in rete.
Cosa significa? Che non si tratta di un rendering propagandistico né di una fuga di notizie studiata per impressionare i social. Al contrario, la natura “offline” ne aumenta la credibilità e suggerisce un’origine più sensibile, forse persino involontaria o un’operazione di spionaggio di successo. Perché è rilevante? Perché offre il miglior sguardo finora disponibile sul programma di caccia tattico, stealth di sesta generazione della Cina. Ma soprattutto perché conferma che il progetto esiste, è concreto, e sta avanzando rapidamente.
In un contesto di competizione tecnologica accelerata tra grandi potenze, anche una singola immagine può modificare la percezione di superiorità militare. E se il J‑36 è davvero così vicino alla maturità operativa, allora la corsa alla sesta generazione ha appena subito un’accelerazione improvvisa — e potenzialmente a favore di Pechino.
Il J‑36: un velivolo stealth trijet a due posti
L’immagine, se autentica, conferma diversi aspetti già ipotizzati sul J‑36. Il velivolo appare come un caccia invisibile ai radar con architettura a tre motori (trijet), configurazione senza derive verticali (tailless), e cockpit a due posti in configurazione affiancata. La presenza di tre vani per armamenti sotto la fusoliera — uno centrale più grande e due laterali — indica una capacità di carico interna notevole, coerente con un sistema pensato per la penetrazione in ambienti ad alta densità di target.
Da quanto noto, il velivolo sarebbe sviluppato dalla Chengdu Aircraft Corporation nell’ambito di un programma che include anche varianti concettuali note come J-50 o J-XDS. L’obiettivo sembra essere quello di creare una piattaforma multi-ruolo, capace di operare in tandem con assetti non pilotati (manned-unmanned teaming), dotata di supercruise, capacità stealth avanzate e un’elettronica di bordo progettata per la guerra cognitiva. Il primo avvistamento operativo del prototipo risale a dicembre 2024, e da allora si sono succeduti test a terra e in volo, ma nessuna immagine aveva svelato dettagli come quella apparsa online alcuni giorni fa.
Perché la Cina vuole arrivare prima alla sesta generazione
Dietro al J‑36 non c’è solo l’ambizione di pareggiare i programmi occidentali, ma un tentativo deliberato di superarli, saltando direttamente verso concetti operativi di nuovissima generazione. La Cina punta su un’architettura integrata incentrata sul “combat cloud”, la rete tra assetti pilotati e droni, la fusione avanzata dei dati sensoriali e l’uso estensivo dell’intelligenza artificiale. Non si tratta di una semplice evoluzione del J‑20 o di un nuovo bombardiere tattico, ma di un sistema pensato per offrire superiorità informativa e operativa in scenari altamente contestati.
I vero segnale è dunque che la Cina sembra voler affermarsi come attore autonomo nella definizione dello standard di sesta generazione, senza dipendere più dalla replica di modelli statunitensi o russi. La rapidità con cui sono emerse le prime immagini del J‑36 e la concretezza del design osservato fanno pensare a un programma che ha già superato la fase concettuale. Questo cambia l’equilibrio strategico non solo in Asia, ma anche in Europa e nel Mediterraneo Allargato, dove la Cina sta progressivamente proiettando influenza tecnologica e militare.
Il Gcap: centralità strategica e sovranità tecnologica per l’Italia
In questo scenario globale in accelerazione da parte del principale rivale dell’Occidente, il programma Gcap (Global Combat Air Programme), portato avanti da Italia, Regno Unito e Giappone, rappresenta molto più di un semplice progetto industriale. Come osserva il generale Luca Goretti, Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, intervenendo nel numero di aprile che Airpress ha dedicato al mondo della Sixth Generation, un caccia di sesta generazione come il Gcap è uno strumento “irrinunciabile per garantire all’Italia centralità geopolitica, prosperità, vantaggi operativi e sovranità tecnologico-industriale”.
Il velivolo che nascerà da questo programma dovrà sostituire gradualmente l’Eurofighter e affiancare l’F-35, integrandosi in una logica operativa che punta su basse osservabilità, interoperabilità, scambio in tempo reale di dati, ed effettori integrati. Non sarà solo un caccia, ma il nodo centrale di un ecosistema di capacità aeree e digitali, progettato per operare in combinazione con assetti pilotati e non, in ambienti con minacce multiple e avanzate.
È qui che il programma trova concorrenti agguerriti e tecnicamente in vantaggio (i primi velivoli del Gcap sono previsti per il 2030, ma i tempi cinesi potrebbero essere più veloci). Le immagini del J-36 sono rivelatrici di una capacità di ricerca tecnologica avanzata, a cui la Cina potrebbe abbinare le capacità di produzione nella fase successiva.