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Il dialogo discreto di Roma con Teheran, mentre Washington setta la strategia

La missione del segretario generale della Farnesina Guariglia a Teheran si è svolta mentre a Camp David l’amministrazione Trump discuteva per ore la strategia americana sull’Iran (coinvolgendolo pure nelle trattative per Gaza?). Due dinamiche parallele, formalmente scollegate, che però mostrano quanto il dossier iraniano sia oggi uno snodo multilivello: regionale, nucleare, strategico

Il 7-8 giugno l’ambasciatore Riccardo Guariglia, segretario generale del ministro degli Esteri italiano, ha presieduto a Teheran una sessione di consultazioni politiche bilaterali con il vice ministro per poi incontrare anche il ministro degli Esteri Abbas Araghchi. Al centro, i rapporti politici, economici e culturali, ma anche i principali dossier regionali. La missione, su mandato del ministro Antonio Tajani, si inserisce infatti nel quadro di un dialogo storico tra Italia e Iran, frutto di connessioni strette durante la Prima Repubblica, mai del tutto interrotte (nemmeno nei momenti di massima tensione internazionale) e per questo adesso parte di un’azione ampia di contatto con Teheran. L’obiettivo generale è consolidare la posizione di forza della presidenza del pragmatico Massoud Pezeshkian, sostenuta dalle posizioni della leadership appartenente alla prima generazione post-rivoluzione e costantemente sotto attacco da parte degli oltranzisti spesso afferenti alle generazioni successive).

Contemporaneamente, domenica 9 giugno, il presidente statunitense Donald Trump ha riunito la sua intera squadra di politica estera, dalla vicepresidente JD Vance al segretario di Stato Marco Rubio e tutte le figure centrali del National Security Council, per discutere la policy da tenere con l’Iran. Tutto avviene anche e soprattutto alla luce della nuova fase di dialogo diplomatico tra Washington e Teheran, partita in primavera e arrivata al quinto appuntamento. Un funzionario americano ha confermato ad Axios — che per primo ha dato la notizia dell’incontro trumpiano — che il presidente considera i dossier Iran e Gaza “interconnessi” e centrali nella ridefinizione dell’equilibrio regionale. Il ritiro a Camp David ha permesso alla leadership Usa di fare il punto dopo settimane difficili, tra negoziati con Teheran, spinte guerresche di Israele nella Striscia, richieste di stabilità da parte degli alleati del Golfo.

Teheran si starebbe preparando a rifiutare formalmente l’ultima proposta americana, giudicata “troppo dura”, in particolare sui limiti all’arricchimento dell’uranio. Tuttavia, fonti della Casa Bianca indicano che l’Iran non vuole chiudere il canale del dialogo. Un sesto round di colloqui è previsto alla fine di questa settima a Mascate, la capitale omanita che con Roma ha finora ospitato i tavoli del dialogo. Trump ha ribadito che si cerca un’intesa per evitare “distruzione e morte”, ma ha anche ammesso: “Potrebbe non funzionare”.

Sebbene l’Italia non sia parte diretta e formale dei colloqui, ospitati sempre nella residenza romana dell’ambasciatore omanita, mantiene un canale diplomatico credibile sia con Teheran che con Washington. Val la pena ricordare infatti che già durante il primo mandato di Trump, Roma aveva ottenuto delle esenzioni temporanee dalle sanzioni americane per continuare a interloquire con l’Iran mentre Washington usciva dal precedente accordo sul nucleare, noto come Jcpoa, e reintroduceva l’intera panoplia di sanzioni contro la Repubblica islamica. Oggi, attraverso una diplomazia silenziosa, prova a sostenere un dialogo pragmatico con anche con interesse regionale.

Il posizionamento italiano guarda anche al contesto più ampio: dal Golfo Persico al Mar Rosso, dove l’Iran esercita influenza attraverso attori come Hezbollah e gli Houthi. In queste aree l’Italia ha interessi diretti, energetici e di sicurezza marittima, e promuove una stabilità che passa anche dal contenimento delle posture più aggressive di Teheran.

Le prossime settimane saranno decisive: un nuovo incontro Usa-Iran è atteso entro domenica, mentre Roma potrebbe tornare a ospitare i negoziati, come già accaduto nei mesi scorsi. Il dialogo resta difficile, ma è ancora aperto. E in questo contesto, l’attivismo discreto dell’Italia conferma una tradizionale capacità di manovra nei momenti di transizione internazionale. Il leader supremo iraniano, l’ayatollah Ali Khamenei, si oppone a qualsiasi accordo che richieda all’Iran di rinunciare al controllo delle sue capacità di arricchimento, anche sotto la minaccia di ulteriori sanzioni. Trump ha un approccio pragmatico e transazionale, che facilita il raggiungimento di una soluzione accettabile.

L’incognita è Israele, dove da tempo ci si prepara per affrontare militarmente una situazione indefinita che si potrebbe creare se i colloqui Usa-Iran dovessero crollare. Peggio ancora, è possibile che le porzioni estremiste del governo di Benjamin Netanyahu spingono per farli saltare, considerando la Repubblica islamica una “minaccia esistenziale”. Da Teheran esce chiaro il messaggio: qualsiasi sabotaggio con attacchi diretti agli impianti atomici comporterebbe in automatico il decadimento della fatwa che impedisce formalmente alla teocrazia di procedere verso l’arricchimento per scopi bellici.


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