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Atomica o armi chimiche dietro le minacce dell’Iran? L’analisi di D’Anna

Mentre l’amministrazione Usa riflette sulla necessità di intervenire direttamente nel conflitto di Israele contro l’Iran, da Teheran Khamenei alza il tiro, sfida Trump e minaccia di Stati Uniti. Risvolti che hanno accentuato le inquietudini di Washington. L’analisi di Gianfranco D’Anna 

Bomba atomica iraniana già disponibile e in procinto di essere lanciata contro Israele con un missile balistico? In termini strategico diplomatici è la persistenza dell’incubo nucleare di Teheran ad allarmare il Pentagono e l’intelligence Usa e a motivare la possibile imminente decisione del presidente di affiancare Israele ed attaccare il regime degli aytollah.

Nella realtà, imprecando per la Casa Bianca Trump non farebbe che chiedere ai vertici della sicurezza nazionale: “Possibile che abbiano anticipato talmente i tempi ed abbiano assemblato in qualche modo un ordigno nucleare”? E la risposta più o meno arzigogolata sarebbe: “Non possiamo escluderlo”.

Ci sono molti particolari che fanno temere il peggio. Alcuni effettivi, altri ascrivibili alla propaganda. Gli indizi effettivi riguardano l’inizio dell’utilizzazione dei missili ipersonici Fattah che hanno una gittata di 1.400 km e, che a dire di Teheran, sono stati progettati per trasportare testate nucleari o batteriologiche. Il loro lancio, per la prima volta dopo sei giorni di conflitto, potrebbe rappresentare un test per verificare la capacità di eludere lo scudo difensivo israeliano.

Per quanto riguarda le armi batteriologiche, anche se ha ratificato fin dal 1997 il trattato per il controllo delle armi chimiche, l’Iran dispone di avanzati programmi di ricerca microbiologici e di ingegneria genetica che servono a sostenere un’industria in grado di produrre efficaci vaccini. Industria che però da usi civili potrebbe essere stata convertita a scopi militari. L’altro sinistro indizio riguarda le caverne-laboratorio ad oltre 100 metri di profondità, nelle viscere di una montagna, del gigantesco sito di ricerca e sperimentazione atomica di Fordow da 16 anni in attività.

Più volte bombardato dall’aviazione israeliana il sito è rimasto finora intatto. Non vi sono certezze sull’eventualità che l’equipe del padre della bomba iraniana, lo scienziato Mohsen Fakhrizadeh, ucciso nel 2020 dagli israeliani, abbia messo a punto con l’abbondante uranio arricchito disponibile un ordigno rudimentale, ma devastante almeno quanto quelli di Hiroshima e Nagasaki.

Nessuno tuttavia lo può escludere come dimostrerebbe, qualora non si trattasse soltanto di propaganda, il proclama lanciato nelle ultime ore dalla guida suprema dell’Iran, l’Ayatollah Alì Khamenei, che nonostante la schiacciante superiorità militare israeliana e la totale distruzione delle forze armate del proprio Paese, afferma bellicoso che la Repubblica Islamica “non scenderà mai a compromesso. La battaglia ha inizio. Alì ritorna a Khaybar” sostiene su X Khamenei, riferendosi al primo califfo dell’Islam sciita e alla sua vittoria contro gli ebrei nel VII secolo.

Delirio o consapevolezza di potersi giocare la chance del tutto per tutto? Ben altro insomma che la “resa incondizionata” dell’ultimatum lanciato all’Iran da Trump.

Anche se con enormi perdite la strategia dell’Iran nel tentativo di rispondere agli attacchi d’Israele sembra quella di procedere “passo per passo”, il che significa avverte Abbas Moghtadaei, esponente di alto rango del Parlamento di Teheran, intervistato dall’agenzia Ilna, che la Repubblica Islamica non ha ancora “mostrato tutto il suo potenziale”. Moghtadaei, vicepresidente della commissione esteri e sicurezza nazionale, ha lasciato intendere che il lancio dei primi missili ipersonici non esaurisce le carte a disposizione dell’Iran. “Abbiamo altre sorprese nel nostro carniere”, ha tagliato corto. Mentre Esmail Baghaei il portavoce del ministero degli Esteri iraniano ha lanciato in una intervista ad Al Jazeera un altro inquietante avvertimento: “Un intervento americano contro il suo Paese scatenerebbe una guerra totale”.

Lo scenario che si prospetta potrebbe rendere necessario dunque l’utilizzazione da parte americana dell’unica arma in grado di sventrare le caverne laboratorio del sito atomico di Fordow, il cuore pulsante del programma di arricchimento dell’uranio: la bomba Gbu-57, la “buster bunker” da 14 tonnellate che può essere lanciata soltanto dai bombardieri B-2 Usa.

L’altra iniziativa già operativa è quella di concentrare le intercettazioni dei missili lanciati dall’Iran sugli ipersonici Fattah. Non facile, ma non impossibile, soprattutto se si distruggono preventivamente i lanciamissili iraniani. La replica di Trump alla sfida della leadership iraniana è stata immediata: “Sappiamo esattamente dove si nasconde la cosiddetta Guida Suprema. È un bersaglio facile. Non lo elimineremo, almeno non in questo momento”.

Khamenei, con la moglie e i figli – quattro maschi e una femmina – si troverebbe attualmente rinserrato a nord-est di Teheran in un bunker a Lavizan, circa 90-100 metri sotto terra in un complesso protetto da sistemi antibomba e antiaereo, fanno sapere da Washington, aggiungendo che se si sposta verrà centrato dagli israeliani.

A rendere ulteriormente più tragico il quadro della situazione disperata in cui si trova il regime degli ayatollah, si è aggiunta la notizia che i servizi di sicurezza islamici avrebbero dato il via ad una sistematica eliminazione dei dissidenti politici detenuti nel carcere di massima sicurezza di Evin, a Teheran.

Prima del disco verde della Casa Bianca all’attacco contro l’Iran, i vertici militari e dell’intelligence americani stanno valutando come disinnescare le probabili contromosse di Teheran oltre all’eventuale lancio dei missili ipersonici. Contromosse consistenti nella ripresa da parte della milizia Houthi yemenita sostenuta dall’Iran degli attacchi contro il traffico mercantile nel Mar Rosso, degli assalti da parte delle milizie filo-iraniane in Iraq e Siria contro le basi statunitensi in quelle zone, e soprattutto l’eventuale blocco con mine navali dello Stretto di Hormuz. Una tattica volta a bloccare le navi da guerra americane nel Golfo Persico. Situazioni che sarebbero già preventivamente sotto controllo da parte dei reparti speciali delle forze armate degli Stati Uniti.

Al Pentagono, sulle portaerei, le unità militari che incrociano nell’area e nelle basi americane in Medio Oriente e nel Mediterraneo, il count down per l’inizio del time of the bombing per colpire i siti atomici dell’Iran può iniziare da un momento all’altro. Solo Trump può fermare o interrompere un conto alla rovescia per una guerra che ha come obiettivo il raggiungimento di una pace stabile in Medio Oriente, ma che se sfugge di mano si può trasformare in una pace eterna globale.


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