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La transizione energetica tra innovazione e conservazione. Un binomio possibile?

Il mondo non può rinunciare all’energia pulita, ma nemmeno a guardare in faccia la realtà. Il peso dei fossili è ancora elevato e le grandi crisi di questi tempi rischiano di rendere tutto più complesso. Il dibattito organizzato dal World energy council e Nazione Futura dal titolo “La transizione energetica: tra conservazione e innovazione”

Transizione e conservazione dell’esistente. Sembra un controsenso, ma forse non lo è. Tra l’avanzata dell’auto elettrica, una Cina dal doppio volto (emissioni da una parte, tecnologia green dall’altra) e ritorno del nucleare al centro del villaggio, Italia inclusa, il riassetto energetico planetario è ancora tutto da scrivere. Ma bisogna farlo con equilibrio e testa. Qualche spunto in merito hanno provato a darlo i relatori intervenuti presso il Centro studi americani, in occasione dell’evento, organizzato con il World energy council (Wec) e Nazione Futura, “La transizione energetica: tra conservazione e innovazione”.

Dopo i saluti di Roberto Sgalla, direttore del Centro studi americani, si sono confrontati, moderati da Marco Margheri, presidente del Wec Italia, Chris Barnard, presidente dell’American consevation coalition, Enrico Giovannini, direttore scientifico Asvis, Francesco Corvaro, inviato speciale del governo per il cambiamento climatico, Francesco Giubilei, presidente Nazione Futura, Sherri Goodman, Secretary general international Military Council on climate&security, Mary Prentice, Associate professor, Helms School of government, Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, Barbara Terenghi, Chair programme committee Wec e Giampiero Massolo, membro del board del Centro studi americani e presidente di Mundys.

TRA TRANSIZIONE E CONSERVAZIONE

Il là ai lavori lo ha dato lo stesso Margheri. “Nel suo discorso di insediamento alla Camera, la premier Giorgia Meloni ha citato la conservazione dell’ambiente, come uno temi portanti della sua azione politica. La domanda è a questo punto: come ricostruire un modello di transizione energetica in grado di lasciare aperta la porta sia alla conservazione, sia al progresso, tenendo al contempo fede agli accordi di Parigi? Questo è il quesito da cui dobbiamo partire e su cui costruire il terreno su cui confrontarci. Cosa c’è della transizione energetica e della conservazione dell’ambiente nell’attuale dicotomia. Questi quesiti li lascio direttamente ai convenuti. Oggi si dà spazio a energie tradizionali che devono poter ridurre il loro tenore di carbonio, si punta a triplicare le energie rinnovabili, si dà un nuovo spazio al nucleare, si fa entrare nel paniere delle tecnologie che ci porteranno alla decarbonizzazione. Ma come conciliare tutto questo con la conservazione dell’ambiente?”.

DANNI COLLATERALI

La parola è poi passata a Giovannini, ex ministro del Lavoro. “Non sono un esperto di energia, ma un economista, uno statistico: guardo i dati e cerco di capire cosa sta succedendo. Oggi c’è un’ideologia sulla transizione e quando questa si connette ai dati, si crea un problema. Oggi la crisi climatica è il più grande fallimento della storia, il punto cruciale è che in questa fase della storia dell’umanità rischiamo il collasso: non lo dico io ma milioni di esperti interpellati sui rischi globali per i prossimi anni. Le ragioni di questo sono evidenti, dalla disinformazione alla polarizzazione del mondo”, ha spiegato Giovannini. “Vorrei sapere se 300 mila morti ogni anno in Europa per patologie legate all’inquinamento sono un problema o no. Io direi di sì. Quei 300 mila morti per inquinamento sono persone semplici, povere: che non si riscaldano bene, che vivono nelle periferie. Dunque smettiamola di dire, tra le altre cose che la transizione aumenta le disuguaglianze. La transizione è un appuntamento non più rimandabile”.

QUESTIONE DI COMUNICAZIONE

Giubilei ha poi spostato l’attenzione sulla comunicazione legata alla transizione. “Non ci può essere solo una demonizzazione della transizione, serve una narrazione positiva. Diciamo un ambientalismo di stampo conservatore. Se dovessimo oggi immaginare una comunicazione circa un ambientalismo conservatore, potremmo partire per esempio, esaltando l’importanza dell’efficienza energetica nelle abitazioni o la messa in sicurezza dei territori. Perché quello che dobbiamo sempre tenere a mente è che l’ideologia non deve entrare nell’ambientalismo, altrimenti si rischia di fare solo danni”.

UN PERCORSO OBBLIGATO

Presente da remoto, anche Corvaro ha dato una sua lettura. “La transizione energetica è necessaria, perché c’è una instabilità geopolitica che impone di essere autonomi e indipendenti nel campo energetico, perché non sappiamo che cosa può succedere domani. C’è un altro motivo per cui la transizione è un percorso a cui non si può rinunciare. La forte domanda che avremo da qui in avanti sarà di elettricità, il che implica l’utilizzo di una serie di infrastrutture. Abbiamo poco tempo, dobbiamo accelerare, questa è la sfida: mettere insieme il progresso con la conservazione”, ha spiegato Corvaro. “Uno degli aspetti fondamentale in questa discussione è che il clima necessita di un approccio globale, la leadership per carità serve, ma quello che conta è la diplomazia climatica: da soli non andiamo da nessuna parte, insieme si va più lontano”.

L’OCCIDENTE IN TRAPPOLA

Tabarelli ha usato parole forti per descrivere il guado in cui si trova l’Occidente. “Siamo in una trappola, parliamo di transizioni ma andiamo ancora avanti con i fossili. Dagli anni 70 i consumi di petrolio sono cresciuti, il gas è esploso. La verità è che il mondo ha bisogno di più energia, ma la quantità che ci danno i fossili le altre energie non ce la danno, questo lo dobbiamo ammettere a noi stessi”, ha spiegato Tabarelli. “A Ravenna abbiamo speso un miliardo di euro per fare un rigassificatore quando abbiamo il gas sotto il mare. Questa è una delle follie dell’Europa, che peraltro conta poco in termini di emissioni, visto che vale solo il 6% nel mondo. Allora, la transizione va fatta ma non in modo squilibrato. Per questo dico che l’Occidente è in trappola, tra transizione e dipendenza dai fossili. Ma senza avere ben chiara una rotta”.

A fare da sponda a Tabarelli, anche Terenghi, la quale ha sottolineato la mancata percezione della transizione da parte della cittadinanza. “Se i policy maker non riescono a raccontare bene la transizione, rimangono degli elementi conflittuali, a discapito delle sinergie. E sì, torno anche sulla questione di una transizione pragmatica: teniamo ben lontana l’ideologia”.


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